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Il lupo, pur perdendo il pelo (leggi, consenso), non ha nessuna intenzione di perdere il vizio.

Parliamo del governo e del suo leader Giuseppe Conte, che pare insistere nel tenere negli ultimi posti della sua agenda il problema del gender gap e del coinvolgimento delle donne all’interno delle squadre di tecnici allestite o annunciate per affiancare il governo nella gestione del paese.

 

E’ quanto emerge da un appello inviato a Conte con la firma di ventidue associazioni che coinvolgono donne impegnate nel sindacato, nell’imprenditoria, nello sport, nel giornalismo, nelle scienze, nelle arti e nel mondo bancario. Un appello in cui è possibile leggere che  ”la governance dei fondi Next Generation UE, va gestita in modo paritario, sia nela composizione dei comitati sia nella scelta dei progetti e nella destinazione del denaro.

 

Lo scorso luglio avevamo raccontato della iniziativa promossa dalla Europarlamentare tedesca Alexandra Geese (Greens/EFA) per valutare quanto gli interventi proposti all’interno del pacchetto Next Generation UE del Recovery Fund siano efficaci nel perseguire una politica di ‘’gender equity’’ e a quasi sei mesi di distanza sembra che il nostro paese abbia recepito ben poco di queste sollecitazioni.

 

“A quanto apprendiamo dai giornali, sarà affidata al Comitato interministeriale degli affari europei composto dai ministri: 8 donne e 14 uomini – leggiamo nell’appello – Il piano di attuazione e la vigilanza politica dovrebbero, invece, essere assegnati a un comitato esecutivo formato dal Presidente del Consiglio e da due ministri ‘di spesa’: Economia e Sviluppo economico. Tre uomini. Dovreste promuovere l’uguaglianza e la parità come vi chiede l’Europa, che indica la parità tra uomo e donna nel processo decisionale come target chiave, che va perseguita integrando la dimensione di genere in tutte le politiche, in tutti i progetti, e non prevedete competenze femminili nella cabina di regia?”.

 

Ma non c’è solo il problema di chi dovrà gestire i fondi, ma anche di come questi fondi dovrebbero essere ripartiti:“Con sommo sconcerto, abbiamo scoperto che per le politiche di parità si prevedono solo 4,2 miliardi. Non solleviamo esclusivamente un tema di genere, ma un tema di crescita. Tuttavia, con queste cifre non si arriva nemmeno al traguardo fissato dall’Europa per i nidi nel 2010. E’ una delle ragioni per cui insistiamo sulla valutazione di impatto di genere ex-ante e ex-post, un’analisi dei costi e dei benefici per l’impiego più utile dei fondi. Pur essendo state le protagoniste della battaglia contro il Covid, sono poche le donne nei vertici dei partiti -sottolineano ancora – nelle cariche pubbliche e nei luoghi decisionali e sono poche anche nel mercato del lavoro. E pochi sono i bambini e le bambine che hanno accesso al nido, e pochi usufruiscono del tempo pieno, soprattutto al Sud”.

 

 

Alle donne firmatarie di questo documento non resta che concludere con qualcosa di più una semplice sollecitazione: “Vogliamo salvare questo Paese e cogliere un’occasione storica – concludono – per abbattere le discriminazioni economiche, culturali e sociali che immiseriscono metà della popolazione. Fare senza le donne, senza tenere la parità come asse principale, attraverso lo sviluppo dell’occupazione e di un piano straordinario di infrastrutture sociali, significa impoverire tutti. Ci sono decine di nomi femminili da proporre per qualunque comitato si voglia inaugurare: avete solo l’imbarazzo della scelta”.