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Torniamo a parlare di mestruazioni, dopo esserci occupati in un recente post dell’aspetto fiscale della vicenda. Lo facciamo segnalando un interessante articolo di Jerome Groopman, che sulle pagine del The New Yorker recensisce il libro della giornalista inglese Rose George, intitolato ”9 pints”. Le 9 pinte (attorno ai 5 litri) sono la quantità di sangue che circola nel nostro corpo.

 

Il sangue è da sempre simbolo di morte e di vita, quello che perdiamo in seguito a una ferita o quello che versano le donne durante il parto o appunto, durante il loro ciclo mestruale. La membrana che separa la scienza dal mito è ancora molto sottile, spiega l’autrice ed è estremamente facile passare da una parte all’altra. Ieri, come oggi.

 

E ieri come oggi, le mestruazioni, continuano a rappresentare uno stigma in molte culture. Non stupisce allora scoprire che la parola ”tabù” si pensi possa derivare dalla lingua polinesiana e nello specifico, da due parole, ”tapa” che significa mestruazioni e ”tabu” che indica invece la condizione di chi è separata dal resto della comunità. Gli esempi non mancano.

 

Due delle tre religioni monoteiste, l’ebraismo e l’Islam, considerano impure le donne nel loro ciclo e numerose sono le regole che normano questo stato, affinché la comunità non debba correre il rischio di essere contaminata non solo dal sangue, ma finanche dalla sola presenza o vicinanza di queste donne. Così è anche per l’induismo, come racconta la George descrivendo il caso di una ragazza nepalese, costretta a rimanere ai margini del villaggio durante il ciclo, per non ”infettare” il resto degli abitanti.

 

Ci sono luoghi in cui fortunatamente la si prende meglio, come in una regione dell’ Afghanistan, dove alle donne mestruate viene concesso di risiedere in delle specie di resort, al cui interno possono trascorrere il tempo mangiando e riposando, ricevendo insomma, una sorta di riconoscimento per il loro sacrificio mensile che ne certifica la fertilità.

 

Anche a Papua Nuova Guinea, le donne possono contare sulla solidarietà degli uomini, che si praticano piccole ferite sul pene, utilizzando chele di granchio, così da offrire anch’essi il loro contributo di sangue al benessere della comunità. E qui da noi? Un paio di migliaia di anni orsono, Plinio il Vecchio annotava come le donne, nel loro periodo, potessero svolgere un’utile ruolo di antigrittogamici umani: se una di loro si fosse spogliata e avesse cominciato a camminare su un campo arato, per esempio a orzo, ogni lombrico, ogni insetto, ogni parassita, sarebbe caduto al suolo stecchito grazie alla provvidenziale presenza di una ragazza nel suo periodo.

 

Insomma, questa cosa che una donna possa perdere sangue ogni mese e stare poi benissimo (e anzi, rimarcando con questo la propria fertilità), agli uomini, dalla notte dei tempi, non sembra essergli mai andata giù o quantomeno l’hanno considerata come un fatto incomprensibile, magico o malefico e sembra che ancora l’effetto di questo strano incantesimo continui a ispirare tra gli uomini iniziative bislacche e opinabili, come mettere una tassa del 22% sugli assorbenti, tanto per fare un esempio.