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Il corso “Violenza di genere e relazione d’aiuto” è una formazione sulla relazione d’aiuto con persone vittime di violenza. Il corso fornisce competenze necessarie all’individuazione della violenza nella relazione d’intimità e all’analisi dettagliata del fenomeno, con particolare attenzione alle dinamiche psicologiche e comportamentali agite nella relazione. La formazione permette di acquisire strumenti indispensabili al sostegno e all’uscita dalla spirale della violenza, sia per chi la subisce sia per chi la agisce.

Venere 50 è tra i soggetti organizzatori di questa formazione e ogni mese vi propone un’intervista per presentarvi le docenti e i docenti del corso.

 

Qual è la tua professione?

Sono un avvocato civilista; sono anche counsellor professionista e mediatore familiare. Faccio parte della sezione modenese dell’Osservatorio Nazionale sul Diritto di famiglia e socia della Cooperativa “ Lune Nuove” presso il Centro Armonico Terapeutico di Modena

Che cosa evoca in te la violenza di genere?

Anzitutto penso al significato semantico del termine violenza. Deriva dal latino violentus che trova la sua origine in “vis”: indica ciò che vince, opprime, distrugge. E cosa distrugge? Ancor più che la vita di una donna, distrugge la sua dignità come persona. Quindi la violenza rimanda ad un potere distruttivo che non contempla l’altro e pertanto ad una frustrazione totale dei diritti civili che la società dovrebbe tutelare. La violenza sulle donne purtroppo attraversa i confini e le culture e riguarda il mondo intero con proporzioni globali enormi (come emerge dai dati, colpisce un terzo delle donne del mondo). E non penso solo alla donna, ma all’effetto moltiplicatore della violenza che coinvolge intere famiglie e soprattutto i figli che hanno un destino segnato e rischiano di diventare potenziali violenti. Un circolo vizioso, insomma, senza fine.

Qual è la cosa più importante che desideri trasmettere a chi si è iscritto al corso?

Desidero trasmettere un’applicazione concreta del concetto di conoscenza, perché solo con la conoscenza si acquisisce consapevolezza: come sostenne uno dei fondatori del Counselling, Carl Rogers ”la consapevolezza si prenderà cura di tutto”. Per poter contrastare un fenomeno occorre conoscerlo bene, conoscere i meccanismi che lo generano e come si manifesta nelle sue molteplici forme, alcune molto subdole. Non si può affrontare ciò che non si conosce.

Indica un’azione concreta che ognuna/o di noi può fare nel quotidiano per contrastare la violenza di genere.

Tanto si potrebbe dire e spesso mi interrogo su cosa potrei fare nel mio piccolo microcosmo. Penso che serva una rivoluzione culturale oltre che politica; serve uno spostamento culturale. La storia e l’esperienza hanno dimostrato che la rivoluzione passa attraverso la lingua, la parola: strumento con il quale creiamo la realtà. Ce lo hanno insegnato anche nelle favole: “abracadabra” in aramaico “creo quello che dico”. Le parole creano, formano pensieri ed ai pensieri seguono le azioni. Le parole continuano ad agire e lavorare dentro di noi. Spesso le parole hanno significati sui quali non ci siamo mai fermati a riflettere.

Da questo nasce lo stereotipo e poi il pregiudizio; c’è un’assimilazione implicita. Un “impensato” che sfugge alla consapevolezza. Non ci rendiamo conto di quanto possa essere distruttivo un linguaggio sessista, apparentemente innocuo. Infatti è proprio attraverso la parola che si è depositata una forma di svalutazione che si chiama sessismo.

Pensiamo ad espressioni banalizzate come : “ sono cose da maschi, non comportarti da femminuccia, donna con le palle , l’uomo è infedele per natura e tante altre , ancor più volgari”. La lettura del rapporto uomo e donna è ancora oggi caratterizzato da una dimensione arcaica. La donna è un oggetto che si possiede e si può anche distruggere. Ecco perché partirei da un momento di autoriflessione e da un’analisi critica del linguaggio che usiamo. Proviamo a riconnetterci alle parole, al peso ed alla portata delle parole.