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Il corso “Violenza di genere e relazione d’aiuto” è una formazione sulla relazione d’aiuto con persone vittime di violenza. Il corso fornisce competenze necessarie all’individuazione della violenza nella relazione d’intimità e all’analisi dettagliata del fenomeno, con particolare attenzione alle dinamiche psicologiche e comportamentali agite nella relazione. La formazione permette di acquisire strumenti indispensabili al sostegno e all’uscita dalla spirale della violenza, sia per chi la subisce sia per chi la agisce.

Venere 50 è tra i soggetti organizzatori di questa formazione e ogni mese vi propone un’intervista per presentarvi le docenti e i docenti del corso.

Qual è la tua professione?

Sono psicologa psicoterapeuta e provengo da una formazione di stampo psicanalitico junghiana. Nel tempo ho integrato diversi altri approcci anche di impostazione cognitivista come l’EMDR, la Mindfulness e la Compassion Focus Therapy. Negli ultimi anni mi sono molto interessata alla psicologia buddista provenendo da un percorso di pratica meditativa che dura da oltre vent’anni. Nel mio lavoro clinico utilizzo una metodologia integrata che unisce tutti gli approcci appena descritti e soprattutto considera la persona come un’unità fatta di corpo, mente, emozioni e spirito. L’aspetto spirituale è per me molto importante e preciso che non ha niente a che fare con la religiosità, intendo la spiritualità nell’accezione junghiana e cioè come la consapevolezza del nostro legame con l’infinito

Che cosa evoca in te la violenza di genere?

La violenza evoca in me un sentimento complesso. Mantenendo il riferimento a Jung mi fa associare il concetto di Ombra, che semplificando possiamo definire come quella parte della personalità umana costituita da tendenze, impulsi, e desideri rimasti ‘primitivi’, poco integrati con la parte più evoluta della coscienza. La violenza quindi mi rimanda a un aspetto intrapsichico di impotenza, di mancata crescita. Purtroppo gli esiti di tale sviluppo negato sono devastanti. Distinguo la violenza dall’aggressività in quanto emozione funzionale alla sopravvivenza a differenza della violenza che potrebbe essere evitata.

Qual è la cosa più importante che desideri trasmettere a chi si è iscritto al corso?

All’interno del percorso di formazione sulla violenza di genere io mi occupo di due moduli: uno sulla violenza sessuale e l’altro sulle possibilità di ‘guarigione’ attraverso approcci orientati alla consapevolezza. In particolar modo, in quest’ultimo approfondimento rispetto alla ‘riparazione’, mi soffermo sulla potenza della compassione intensa secondo l’accezione di Paul Gilbert, ideatore della Compassion Focus Therapy, basata su un modello scientifico neuropsicologico di stampo evoluzionistico. Nello specifico, mi soffermo sulla trasmissione di pratiche di ascolto di sé orientate a sviluppare un atteggiamento di amorevolezza e gentilezza verso sé stessi.
Ecco ciò che più mi sta a cuore è di passare il concetto e anche le strategie di un atteggiamento di accoglimento e di accudimento verso sé stessi, il più lontano possibile dai sentimenti di vergogna, senso di colpa e autocritica che purtroppo, paradossalmente vengono vissuti dalle vittime di violenza.

Indica un’azione concreta che ognuna/o di noi può fare nel quotidiano per contrastare la violenza di genere.

Riprendendo i concetti di gentilezza, amorevolezza e percezione del nostro legame con l’infinito, propongo di praticare in modo concreto, ogni giorno, almeno un’azione di consapevolezza.
Basta pochissimo, ad esempio ricordarsi di alzare almeno una volta lo sguardo al cielo permettendosi di guardare in alto come se fosse la prima volta e ricordando queste semplici parole di Jon Kabat-Zinn: “Il sole tramonta tutti i giorni, ma ogni tramonto da un’emozione straordinaria, diversa ogni giorno, basta solo avere la pazienza di guardare il tramonto come se lo vedessimo per la prima volta, senza aspettative, con la mente aperta e pronta ad accogliere tutto ciò ce incontra.