Non sappiamo se sia corretto definirle le ‘Olimpiadi arcobaleno’, ma è certo che quella di Tokyo è stata l’edizione in cui il numero di atleti dichiaratamente LGBT ha superato quello di tutti i giochi olimpici precedenti.
Il sito Outsports ha conteggiato 141 atleti gay, lesbiche, bisessuali, transgender, queer e non binari, una cifra che ha mostrato un netto ed evidente scatto in avanti, in mondovisione, che ha portato nelle case di milioni di appassionati un messaggio di orgoglio e libertà come non si era mai visto in nessuna manifestazione sportiva.
Uno dei simboli di questo cambiamento in atto è stata la partecipazione alle gare di sollevamento pesi di Laurel Hubbard, il primo atleta transgender nella storia delle olimpiadi. Ma insieme alla sua storia ce ne sono molte altre, così tante da sembrare, fortunatamente, quasi ordinarie e non straordinarie, come sarebbe potuto accadere in passato. Sia ben chiaro, l’omosessualità non ha smesso di essere un tabù o uno stigma, ma chi ha seguito le olimpiadi di Tokyo ha percepito come un tema che magari considerava scabroso, lo fosse un po’ meno, grazie alla naturalezza e alla determinazione di chi ha scelto di non nascondere il proprio orientamento sessuale davanti alle telecamere o ai taccuini dei cronisti.
I numeri, però, ci offrono un dato importante: dei 141 atleti LGBT, quasi il 90% sono donne. Cosa significa questo? Difficile trarre delle conclusioni, se non quelle che questa proporzione potrebbe suggerire. Cioè che le donne hanno molti meno problemi a dichiararsi rispetto agli uomini. La cosa risulta maggiormente evidente in uno sport come il calcio, che a livello maschile è ancora un ambiente profondamente omofobo: il torneo femminile ha fatto registrare il numero più alto di donne apertamente LGTB rispetto a tutte le altre discipline, con quasi 40 ragazze che hanno dichiarato il proprio orientamento sessuale o non lo hanno nascosto.
La strada è ovviamente ancora lunga, ma non c’è dubbio che queste grandi manifestazioni siano sempre più importanti non tanto e solo per affermare i valori dello sport e della sana competizione, ma per mostrare al grande pubblico che il mondo va avanti, a dispetto dei pregiudizi e dell’intolleranza (si pensi al dibattito sullo Ius soli, stimolato dalla vittoria italiana nella 4X100 maschile) e che non c’è legge che tenga di fronte all’evidenza che prima di ogni cosa, siamo tutte e tutti, solo ed esclusivamente, degli esseri umani.