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Spesso, all’interno di questa rubrica, abbiamo parlato di gender gap e delle discriminazioni di genere di cui le donne sono oggetto in ambiti diversi. Questa settimana diamo spazio ad una riflessione su un altro fronte di distinzione di genere, l’Eco gender gap.

 

Prima è arrivata una ricerca realizzata nel 2018 dalla società inglese Mintel, che certificava quella che possiamo tradurre con l’espressione ‘divario di genere ecologico’, attestando come le donne avrebbero  a cuore la salute del pianeta più degli uomini. Alle stesse conclusioni, due anni dopo, è arrivato un secondo studio, realizzato questa volta dall’istituto di ricerca Nielsen, in cui fondamentalmente si ribadisce lo stesso concetto.

 

Ma mettere questi risultati, se non nella giusta, quantomeno in una diversa (e non irragionevole) prospettiva è Pietro Meloni, docente di Antropologia del Consumo all’Università di Siena: “Pensare che le donne nascano con una predisposizione “biologica” a essere caregiver dei più fragili è un errore che riflette una tendenza, molto maschile, a naturalizzare comportamenti culturali. Le donne non nascono con una particolare propensione per la cura dei bambini, il colore rosa, il cucito e le soap opera, così come gli uomini non nascono con la passione per il calcio o i thriller”.

 

“Questi dati, però, – ha aggiunto Meloni – mostrano solo un lato della medaglia. Non ci dicono ad esempio chi (o cosa) spinga le donne verso questi comportamenti e verso queste scelte. Le scienze umane hanno largamente ed efficacemente dimostrato che alla base dei comportamenti di ogni individuo c’è molto di più della pura biologia: c’è l’ambiente, la cultura, l’educazione. E pure il marketing”.

“Ad esempio – aggiunge Meloni – quando notiamo che sono le donne le maggiori acquirenti di prodotti ‘green’ non possiamo ignorare il rilevante peso di pervasive ed aggressive strategie di environmental marketing, le quali spesso puntano alle donne e alla sostenibilità come escamotage per distinguersi in un mercato affollato:’green’ sono proprio i cosmetici e i profumi (con i loro contenitori di vetro e alluminio),’green’ i vestiti e gli accessori (i produttori di calze hanno iniziato a sostituire il nylon con materiali più ecologici), e anche ciò che ha a che fare con il ciclo mestruale”, con l’ascesa di assorbenti riutilizzabili e coppette mestruali.

 

In generale, ad essere ‘green’ sono i prodotti per la cura della casa, un ambito che è ancora prevalentemente ‘rosa’ e l’industria che mette sul mercato prodotti con un’impronta ecologica punta in modo palese al target femminile, creando forse l’illusione che le donne siano più attente all’ambiente di quanto non lo siano gli uomini. E  Meloni non può che chiosare affermando che  “l’eco gender gap non è che la diretta conseguenza di quel marcato gender gap che pervade ogni ambito della nostra vita e che influenza i nostri consumi”.