Le donne e i giovani sono gli anelli sempre più deboli di una catena che rischia di spezzarsi e l’emergenza provocata dalla pandemia, ha certamente contribuito a renderla sempre più fragile: possiamo considerare le parole di Draghi al summit della Women Political Leaders le premesse per una radicale inversione di tendenza?
Il videomessaggio inviato dal Presidente del Consiglio Mario Draghi all’assemblea delle Women Political Leaders (la rete globale di leader politici femminili che da anni si pone come mission quella di aumentare sia il numero che l’influenza delle donne nelle posizioni di leadership politica) contiene affermazioni molto esplicite: ”Combattere le disuguaglianze di genere deve essere una priorità globale (…) Ogni giorno milioni di ragazze si trovano a dover imparare, a proprie spese, che non possono realizzare i propri sogni. Devono subire discriminazioni, a volte anche violente, devono accettare anziché scegliere, devono obbedire anziché inventare, solo perché sono donne”
Un discorso, quello dell’ex presidente della BCE, indubbiamente chiaro nel rimarcare il profondo gap di genere (e di anagrafe) che rende il nostro paese un luogo ostile per donne e giovani: “questa situazione non solo risulta immorale ed ingiusta, ma rappresenta anche un atteggiamento miope. Le nostre economie stanno perdendo alcuni dei nostri talenti migliori, le nostre società si stanno lasciando sfuggire alcune delle migliori leader del futuro”. Per questo la riduzione delle disuguaglianze di genere deve essere una priorità a livello globale, come già abbiamo avuto modo di ricordare in più occasioni all’interno di questa rubrica.
La soluzione? Per Draghi, che si prepara ad incassare la prima tranche del Recovery Fund, è prima di tutto economica. In Italia l’obiettivo è investire entro il 2026 almeno 7 miliardi di euro per la promozione dell’uguaglianza di genere, aumentando il numero di donne che scelgono di studiare discipline tecniche e scientifiche e agevolando la situazione delle mamme lavoratrici, anche attraverso lo stanziamento di fondi a sostegno dell’imprenditoria femminile e una clausola per far assumere più donne dalle imprese.
Certo, i 4,6 miliardi destinati ad accrescere il numero di asili nido e di scuole materne, non dovrebbero essere considerati un aiuto specifico per le donne, ma per i nuclei familiari. Purtroppo, un investimento di questo genere, in un paese in cui è prassi che le donne siano costrette a sostenere la maggior parte delle cure domestiche e genitoriali, finisce nel calderone degli aiuti all’impiego femminile, ma tant’è, la speranza è si dimostrino essere misure realmente concrete nella riduzione del gender gap in Italia.