Il video realizzato da Beppe Grillo in difesa del figlio Ciro, rinviato a giudizio con l’accusa di stupro, ha sollevato un forte dibattito in un paese dove la violenza contro le donne è ben più che un’emergenza. Per questo vogliamo proporvi una breve riflessione interna al collettivo di Venere 50, attraverso le considerazioni di Paola Vigarani, coordinatrice del gruppo Le Fenici, stimolata dalle domande di Daniela Grenzi.
Paola, il video di Beppe Grillo, a difesa del figlio Ciro, è un chiaro esempio di come ancora oggi le donne che subiscono violenza faticano ad essere credute, vittime dello stereotipo secondo cui la donna è sempre sessualmente disponibile. Cosa ci puoi dire a riguardo?
Purtroppo è frequentissimo, ancora oggi che una donna vittima di violenza di genere, nel momento in cui può e riesce ad uscire dall’isolamento in cui la violenza l’ha costretta, possa trovarsi difronte al pregiudizio, alla non disponibilità, al non essere ascoltata e creduta, alla svalutazione, alla minimizzazione e peggio ancora, ad un processo di colpevolizzazione.
La vittimizzazione secondaria nasce dallo stereotipo di genere che pervade tutta la struttura socio culturale, dove il modello patriarcale, ancora così profondamente radicato sottende alla disponibilità sessuale del femminile verso il maschio egemone legittimando, normalizzando e minimizzando la violenza.
Nelle parole di Grillo, oltre alla terrificante mentalità retrograda, maschilista, emerge anche l’ignoranza rispetto ai meccanismi psicologici che sottendono la difficoltà delle vittime a denunciare. In base alla tua esperienza, quali sono i tempi medi necessari per una donna, a prendere il coraggio di denunciare?
Oggi serve veramente tanto coraggio per procedere con una denuncia e i tempi del processo di uscita possono essere molto lunghi. Grillo accusa la vittima di avere denunciato lo stupro dopo 8 giorni e pertanto di non essere credibile. In realtà otto giorni sono pochissimi e ampiamente rientranti nei tempi di legge. Le vittime oggi sanno che la denuncia non le tutelerà e che spesso la funzione repressiva non è efficace in Italia, spesso sanno anche che saranno le Istituzioni proprio nelle aule di tribunale a renderle vittime due, tre, mille volte ancora con la riprovazione sociale e i processi di colpevolizzazione e questo è il grande deterrente alla denuncia.
Non denunciare non significa però non essere vittima e subire il giudizio sociale comporta un’inevitabile amplificazione del senso di colpa e la convinzione di meritare ciò che la vittima ha dovuto subire: anche una singola parola, una frase sbagliata, possono cambiare in negativo l’ epilogo della sua richiesta di aiuto per attuare il cambiamento verso la sua salvezza.
In molti articoli usciti sull’argomento si parla di ”cultura della stupro”? Cosa s’intende con questo termine?
Il termine deriva dall’inglese rape culture, e include tutti quegli atteggiamenti che minimizzano e spesso incitano alla violenza sulle donne: la colpevolizzazione della vittima, l’oggetivazione sessuale, lo slut shaming, termine utilizzato per stigmatizzare comportamenti e desideri sessuali femminili percepiti come non accettabili. La definizione “cultura dello strupo” inizia ad essere utilizzata negli studi di genere e in sociologia a partire dagli anni Settanta e oggi a raccogliere il lavoro svolto in quegli anni ci sono le attiviste del movimento SlutWalk – attive soprattutto a partire dal Duemila – e successivamente quelle del MeToo.
Fa parte del processo sociologico di definizione della cultura dello stupro anche quella del “disvelamento” che, sotto la pressione della società, spingerebbe gli uomini a incarnare comportamenti dominanti, misogini e omofobici, espressi attraverso atti violenti.
Come collettivo Venere 50 ci poniamo l’obiettivo di informare ma anche di dare risposte concrete e quindi vorremmo concludere quest’intervista chiedendoti di presentarci, per chi ancora non lo conosce, il gruppo Le Fenici, da te fondato?
Si tratta di un gruppo di crescita nato nel 2012, all’interno della Cooperativa LUNEnuove e del Centro Armonico Terapeutico e oggi collegato al collettivo Venere50. E’ rivolto a donne accumunate dallo stesso disagio, che intendono uscire e rielaborare una relazione amorosa con partner con comportamento violento o più in generale, modificare e superare una relazione dipendente. Il gruppo ha lo scopo di favorire la rilettura, attraverso un processo di narrazione e di ascolto, del proprio vissuto all’interno del rapporto di coppia, dei propri problemi relazionali ed affettivi attraverso l’elaborazione delle emozioni e dei sentimenti, al fine di riscoprire risorse ed energie per progettare cambiamenti e dare una nuova configurazione alla propria vita.