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Questa settimana Venere 50 ha incontrato la psicologa, la psicoterapeuta e sessuologa Margherita Graglia, per una breve chiacchierata sul tema delle identità sessuali.

 

Dottoressa Margherita Graglia, abbiamo appena concluso un convegno sulla sessualità femminile nella seconda metà della vita.
Siamo partite dal definire il periodo che va dalla menopausa in poi, come variante d’identità di genere femminile. Una delle sfumature più accese dell’identità sessuale femminile riguarda l’età fertile: superata quella, si entra in uno spazio di significati culturali negativi che portano a quello che anche lei, nel suo ultimo libro (Le differenze di sesso, genere e orientamento. Buone pratiche per l’inclusione, ed. Carocci Faber), cita come identità negata. Come le risuona quest’associazione?

 

La menopausa è un cambiamento fisiologico nella vita di una donna. Ritengo fondamentale sottolineare questo aspetto, in quanto vi è invece una tendenza culturale a sottolineare questa fase di vita come patologica; pensiamo a certi discorsi mediatici che tendono a medicalizzare questa fase, oppure a ritenerla negativa o assolutamente da rimandare perché connessa all’invecchiamento. E sempre più la senescenza è considerata negativamente, in particolare per le donne che ricevono una forte pressione ad essere sempre belle o sembrare giovani e performanti. Basti pensare, solo per fare un esempio tra i tanti, ai ruoli femminili nei film: poche sono le protagoniste anziane e le attrici, superate una certa età, sembra che se non intervengono a livello estetico non trovino più spazio.

Credo che occorra valorizzare i cambiamenti del corpo che avvengono a tutte le età della vita. Se dunque da un lato la menopausa rappresenta una fase fisiologica, dall’altro diventa rilevante come viene vissuta dalla donna e quali significati vi attribuisce.

Per alcune può rappresentare la liberazione dal ciclo mestruale e da tutti gli aspetti collegati (dolore, fastidi, contraccezione, ecc) e e la possibilità di assaporare una sessualità che col tempo si è fatta più consapevole: Per altre, al contrario, la fine della fertilità può essere vissuta negativamente, quasi come una  perdita della femminilità. Come tutte le fasi, anche la menopausa è un processo che può necessitare di tempo per essere integrata in una nuova rinnovata visione di sé.

 

L’occasione del convegno è stato uno spunto e un input per allargare il discorso rispetto all’identità di genere femminile. Abbiamo apprezzato molto il suo lavoro d’informazione e consapevolezza sulla varietà delle identità sessuali contemporanea. Ci può aggiornare al riguardo?

 

Mi occupo di identità sessuale sia nell’ambito clinico, come sessuologa e psicoterapeuta, ma anche come formatrice, intervenendo in vari contesti, come quelli psico-socio-sanitari ed educativi. Quando si parla di varietà delle identità sessuali, si fa riferimento al fatto che le dimensioni identitarie possono essere molto più varie di quanto comunemente si creda: non esistono infatti solo femmine e maschi, ma anche persone intersessuali, così come non esistono solo le persone eterosessuali, ma anche quelle omosessuali, bisessuali e asessuali.

Anche l’identità di genere può essere vissuta in molti modi: vi sono persone ad esempio che sentono una discordanza con il genere assegnato alla nascita, mi riferisco alle persone transgender. E tra queste ultime c’è chi sperimenta il genere in maniera non binaria. Le nuove generazioni di persone trans tendono infatti a usare nuove etichette per definirsi come ad esempio genderfluid, pangender, ecc. Nel mio ultimo libro mi sono proprio dedicata a spiegare in maniera divulgativa queste dimensioni identitarie e come vengono vissute dalle persone nella contemporaneità.

 

Lei parla di discriminazione LGBT come di un problema che riguarda tutta la comunità. Può spiegarci cosa intende?

 

Mi riferisco al fatto che le discriminazioni nei confronti delle persone LGBT di fatto non creano un danno solo al target della discriminazioni, in questo caso alle persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender, ma a tutti, in quanto hanno un effetto disgregante sulla società. Inoltre tutti noi, per un motivo o per l’altro, siamo portatori di differenze e quando una differenza non è tollerata questo crea un substrato sociale per le discriminazioni in generale.

 

Da anni lei lavora oltre che nella ricerca, anche nell’organizzazione concreta di modelli e buone pratiche, rivolti al superamento delle discriminazioni in ambito LGBT.  Ci può raccontare?

 

Una buona prassi è senz’altro la formazione che permette di acquisire informazioni e competenze per lavorare, nei contesti specifici, con le persone LGBT. I contesti possono essere quelli educativi, come la scuola, socio-sanitari o ancora le Pubbliche amministrazioni. Organizzo in varie parti di Italia corsi per professionisti, psicologi, medici, educatori, ma anche per il personale degli enti pubblici e delle forze dell’ordine. Nel mio ultimo testo descrivo le buone prassi che possono essere messe in campo dalle Istituzioni, mentre in quello precedente Omofobia. Strumenti di analisi e intervento descrivo le forme che può assumere la discriminazione nei confronti delle persone LGBT e come è possibile intervenire nei vari contesti familiari, sanitari, psicologici e del mondo del lavoro.