Piacere mio! Piacere di tutti e tutte! Il nostro spazio dedicato alla sessualità, questa settimana vuole segnalarvi l’appuntamento con la prima edizione di Ailoveiù, il festival nato e pensato per celebrare e rivendicare il diritto alla salute sessuale per le persone disabili.
Da oggi fino al 18 luglio, a Castrolibero, in provincia di Cosenza si tiene la tre giorni di incontri, dibattiti tra esperti e attivisti, proiezioni, mostre e spettacoli dedicati ad un tema che in Italia è ancora considerato un tabù, ma che interessa, direttamente e indirettamente, decine di migliaia di persone.
Uno dei principali ospiti del festival non poteva che essere Max Ulivieri, un vero e proprio pioniere nella battaglia per il riconoscimento del diritto alla sessualità e da anni impegnato su questo fronte come personal life & love coach, all’interno del progetto Love Giver, pensato per formare personale specializzato nell’assistenza sessuale per i disabili, gli O.E.A.S. (operatore all’emotività, alla affettività e alla sessualità), «In altri paesi, come Germania, Danimarca, Olanda e Svizzera, ci sono persone che hanno fatto una formazione per aiutare le persone con disabilità a vivere l’aspetto relazionale e sessuale. Queste figure non hanno un riconoscimento come assistenti sessuali, ma il lavoro di sex worker è ampio e regolamentato. In Italia, invece, non c’è nemmeno una normativa per il lavoro di sex worker», denuncia da tempo Ulivieri.
Quella dell’Oeas, invece, è una figura altamente specializzata, formata anche sotto il profilo emotivo e affettivo. Anche per questo la definizione di “assistente sessuale” è poco adatta per spiegare il ruolo, troppo stretta rispetto alle funzioni che svolge. «L’obiettivo principale è quello di dare la massima autonomia possibile. Non si tratta di legare la persona all’operatore, ma nel percorso di 7-8 incontri, 10 al massimo, si punta a rendere la persona autonoma nella ricerca di un compagno o compagna, o anche nell’autoerotismo. Questo perché molte persone hanno difficoltà ad avere una sessualità anche con se stesse. In questo senso questa figura si differenzia dal lavoro di sex worker, che invece “fidelizza” il cliente».
Ad oggi, il comitato LoveGiver ha formato una decina di operatori, e a febbraio è partito un nuovo corso che sta coinvolgendo 18 persone. Il percorso prevede un test di accesso fatto da uno psicologo, un corso di 200 ore e 100 ore di tirocinio. Si rivolge a uomini e donne di ogni orientamento sessuale. «In molti casi sono persone che già lavorano con la disabilità, educatori, infermieri, OSS, ma ci sono anche persone che nella vita fanno tutt’altro».
Ulivieri racconta anche che molte resistenze al riconoscimento di questo diritto nascono prima tra le stesse persone disabili o le loro famiglie, a dimostrazione che il tabù culturale è molto forte e radicato e per eradicarlo occorre impegnarsi non solo per ottenere riconoscimento da parte delle istituzioni, ma anche fiducia e motivazioni tra coloro che dovrebbero beneficiare di questo diritto:«Non vuol dire che ognuno di noi ha diritto che lo Stato gli porti a casa il fidanzato o la fidanzata. Diritto alla sessualità significa che lo Stato si impegna ad abbattere tutte le barriere culturali e fisiche fra la persona e la possibilità di esercitare quel diritto».