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Da sempre, in tutto il mondo, il problema della violenza contro le donne è stato considerato un problema del femminile. Viene ingigantita la responsabilità delle vittime e trascurata e sottovalutata la responsabilità dell’aggressore. Quasi tutte le campagne di prevenzione si rivolgono alle donne e quasi mai ai maltrattatori. La prevenzione così impostata rispecchia le consuete arretratezze culturali che generano discriminazioni di genere, mentre la presa in carico unicamente della vittima ne rafforza lo stereotipo, cioè Il messaggio culturale che evidenzia la fragilità del femminile.

 

E’ una forma di violenza socio-culturale, quella di rivolgere unicamente alle donne istruzioni e avvertenze per non incappare in relazioni violente o per uscirne. Le donne sono già responsabili in partenza, già agli esordi delle violenze subite, con l’immancabile giudizio: “se l’è andata a cercare”. Le donne sono responsabili di avere scelto uomini sbagliati o perché si trovano in difficoltà nel lasciarli, come se il problema riguardasse esclusivamente loro, dimenticando l’altro protagonista, l’uomo aggressore.

Alle donne spetta poi il compito di saper cogliere, interpretare e decodificare i così detti “campanelli d’allarme”, cioè quei più o meno chiari segnali che anticipano il preludio della violenza fisica. Sempre alle donne spetta il compito di imparare tecniche di difesa personale per recepire e così evitare il pericolo della violenza fisica e/o sessuale, così come sono loro a dover decidere di mettersi in sicurezza e protezione nelle case rifugio, a discapito della propria libertà, di una quotidianità, di un impegno lavorativo, professionale, lontana dalla rete familiare e amicale e sono sempre sempre le donne a dover decidere di denunciare il proprio partner o ex partner, seguire percorsi legali durissimi e lunghissimi. Contrastare la violenza responsabilizzando la donna vittima o potenziale vittima, come se tutto dipendesse solo ed esclusivamente da lei, assolve la società, la politica, le istituzioni dall’affrontare seriamente questa piaga sociale.

 

E se invertissimo i dati….?
In Italia, uno o più uomini hanno esercitato violenza fisica o sessuale nell’arco della vita di 6 milioni 788 mila donne.
In Italia, uno o più uomini hanno esercitato violenza fisica nell’arco della vita di circa 4 milioni di donne.
Gli stupri e i tentati stupri, che sono compiuti da un uomo nel 66,2% dei casi da conoscenti (32,8%), amici (16,9%), parenti (5,3%), colleghi (9,7%) e amici di famiglia (3%)
Negli ultimi 5 anni il numero di donne che hanno subìto almeno una forma di violenza fisica o sessuale ammonta a 2 milioni 435 mila, l’11,3% delle donne dai 16 ai 70 anni
Nel 2014 sono circa 4 milioni 400 mila le donne che dichiarano di subire o di avere subìto violenza psicologica dal partner attuale, il 26,4% della popolazione femminile in coppia.
Ogni 2,4 giorni, nel nostro Paese, un uomo uccide una donna* (152 donne uccise nel 2014).
In Italia, ogni 7 minuti un uomo stupra o tenta di stuprare una donna.
* Dati tratti dalla ricerca ISTAT del 2015

 

 

Sono numeri volontariamente “rovesciati”, per spostare lo sguardo dalle vittime agli autori. Cambiare punto di vista significa guardare in faccia la realtà: la violenza che colpisce le donne proviene quasi esclusivamente dagli uomini. Per questo quando si usa l’espressione “violenza di genere”, si sottintende che il genere è quello maschile. Michela Marzano nel suo libro  Sii bella e stai zitta afferma che il declino dell’impero patriarcale va di pari passo con l’aumento della violenza contro le donne; allora, se questa è la realtà, quella che emerge anche dai numeri, bisogna che in questo Paese si inizi a riflettere anche politicamente sul maschile,, sul suo riposizionarsi rispetto al femminile. E’ evidente che senza il cambiamento degli uomini non c’è soluzione alla violenza di genere. La radice della violenza risiede nella maschilità e perciò servono politiche pubbliche che promuovano il cambiamento del maschile.

 

Esistono alcune eccezioni, ancora poche. Associazioni virtuose di uomini come “Maschile e plurale” che da diversi anni promuove una riflessione individuale e collettiva tra gli uomini di tutte le età e condizioni, a partire dal riconoscimento della propria parzialità e dalla valorizzazione delle differenze, nella direzione di un cambiamento nelle relazioni tra i sessi. Si tratta di uomini impegnati personalmente e pubblicamente per contrastare ogni forma di violenza di genere.
Infine esistono in Italia luoghi specifici, centri d’ascolto per uomini con comportamento violento. Sono 14 i Centri per uomini maltrattanti in Italia. In Emilia-Romagna sono 5 di cui 3 pubblici, gestiti dalle Ausl di Modena e Parma (LDV), di recente apertura anche Reggio Emilia. L’accesso ai centri è spontaneo e non obbligatorio, come parte integrante alle pene, come invece spesso accade in altri paesi europei. Poco più di 86 gli uomini inseriti in un percorso terapeutico alla fine del 2018 in Regione, ben diversi i numeri di donne, vittime di violenza che chiedono sostegno psicologico e/o econimico.