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di Daniela Grenzi

 

Mentre Neil Armstrong, si preparava a calpestare per primo il suolo lunare, sulla Terra aveva inizio una vera e propria rivoluzione di stile: il mondo della moda, con l’indimenticabile Barbarella, vestita da Paco Rabanne, le collezioni futuristiche ispirate ai viaggi intergalattici di Pierre Cardin e le “moon girls” di André Courrèges, si dichiarava letteralmente stregato dalla luna.

 

Se in alto si spostavano i limiti umani e tecnologici, anche in basso si allargavano i confini del costume con la nascita della moda unisex.
I tagli e le forme della “moda lunare” erano resi possibili dalla comparsa di un nuovo materiale sintetico come il tessuto elasticizzato che, grazie alla sua composizione, era adattabile tutte le forme.
Un anno prima dello sbarco sulla luna, il New York Times, aveva sdoganato la parola “unisex”, introducendo il concetto di guardaroba condiviso.

 

La Space Age, oltre a portare in passerella body aderenti, tubini sintetici, parrucche argentate, caschi e stivali, illuminava le strade di ragazze dai capelli corti, vestite con camicia e pantaloni e ragazzi dai capelli lunghi che indossavano collane e orecchini.
La moda unisex introduceva l’azzeramento delle differenze di genere, anticipando tremini oggi di moda come “genderfless”, “agender” e “genderfluid”.
La studiosa Jo B. Paoletti, in Sex and Unisex: Fashion, Feminism, and the Sexual Revolution, sostiene che l’ondata dell’unisex style abbia creato sì un concetto di uniformità, ma senza riuscire a cancellarne un’inclinazione al maschile. Il processo stilistico di fine anni sessanta ha reso più mascolino l’abbigliamento femminile, cucendo sugli abiti concetti quali comfort e funzionalità. non riuscendo però nell’operazione inversa di femminilizzazione della moda maschile.

 

L’attuale moda genderless, invece, sembra riuscire nell’impresa andando oltre la sovrapposizione dell’estetica maschile e femminile, dando la possibilità a qualsiasi individuo che non si rispecchia nella definizione binaria dell’abbigliamento, di avere un tipo di rappresentazione possibile e quindi un conseguente riconoscimento in un contesto societario.

 

Il no gender, abbraccia una visione che supera i confini del vestiario, imponendosi con l’idea che le norme, la lingua e le istituzioni sociali dovrebbero evitare di utilizzare il genere come principio di differenziazione e quindi di discriminazione.