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Lo sport, da sempre, è una formidabile metafora del mondo in cui viviamo. E lo è in modo particolare quando lo sport è praticato da donne.

 

In questi giorni 24 squadre stanno partecipando alla ottava edizione del campionato mondiale di calcio femminile e tra queste c’è anche la rappresentativa italiana, che solo due giorni fa si è sorprendentemente piazzata in testa al suo girone di qualificazione. Mentre la nazionale maschile è rimasta fuori dall’ultimo mondiale giocato in Russia, quella guidata da C.T. Milena Bertolini sta ottenendo risultati decisamente superiori alle aspettative. Lo sport, dicevamo, è una metafora e quando si tratta di donne, non ci sorprende come anche in questo ambito si materializzino pregiudizi e discriminazioni che hanno il solo merito di incoraggiare ulteriori riflessioni sui gap di genere che le donne sono costrette a subire.
Gap economico, prima di tutto, perché le donne guadagnano cifre enormemente minori di quelle che sono garantite ai colleghi maschi. Basti solo dire che in Italia, le donne che giocano a calcio nella massima serie non possono essere professioniste. Hanno diritto solo ed esclusivamente a rimborsi spese e la loro possibilità di passare da una squadra all’altra è resa estremamente difficile da una regolamentazione che subordina la loro volontà a quella delle società di appartenenza.

 

Nel calcio, poi, sport che culturalmente viene da molti considerato poco adatto alla donne (o poco femminile, fate voi), le atlete devono passare attraverso pregiudizi (e discriminazioni) che fortunatamente, in altre discipline come il tennis, lo sci, la scherma, il nuoto, la pallavolo o l’atletica leggera, sono meno presenti o accentuate. Ricordiamo l’infelice dichiarazione dell’ex calciatore e commentatore televisivo Fulvio Collovati, che circa un anno fa aveva dichiarato “Le donne che parlano di tattica mi danno il voltastomaco”, sintomo evidente di come, almeno nel nostro paese, le donne che giocano a calcio siano considerati corpi estranei in uno sport che dovrebbe appartenere, ad ogni livello, solo ai maschi. Al pregiudizio di genere, si è aggiunto anche quello di matrice razzista, quando sui social si sono letti molti commenti che stigmatizzavano il fatto che il capitano della nazionale (che deve essere per forza di cose, cittadina italiana), la triestina Sara Gama, avesse la pelle scura.

 

Ma il mondo, fortunatamente, va avanti e i successi che la nostra nazionale femminile sta ottenendo, rappresentano una grandissima occasione per promuovere anche nel nostro paese una disciplina che altrove può contare su una base importante di praticanti e di pubblico. Perché più praticanti e più pubblico, significano maggiori investimenti, soprattutto da parte delle televisioni e dunque maggiori guadagni per le atlete e per le federazioni. Alle ragazze di Milena Bertolini dunque, facciamo i nostri migliori auguri perché possano prendersi sul campo tutte le soddisfazioni e che possano ispirare nuove generazioni di ”signorine” capaci di seguire i loro passi e mostrare che anche nel calcio l’unica cosa che conta è il gesto atletico, l’intelligenza tattica e la lealtà sportiva, tutte cose che nulla hanno a che vedere con il genere di appartenenza, con buona pace di Fulvio Collovati e di chi ancora si ostina a vederla come lui: forza azzurre!