È ormai noto come gli stereotipi di genere irrigidiscano le identità femminili e maschili in ruoli che non corrispondono alle infinite sfumature che compongono le soggettività di ognuna/o di noi, impedendo la libera espressione delle emozioni e dei comportamenti dei singoli e limitando le possibilità di trovare il proprio posto nel mondo in sintonia con sé stessi e con gli altri, a prescindere dal genere.
Se grazie ai femminismi stiamo mettendo in discussione sempre di più gli stereotipi legati al genere femminile, cosa si sta muovendo rispetto al tema degli stereotipi legati al genere maschile?
Ne parliamo con Silvano Croci Counselor, Trainer e Business Coach Umanistico (breve presentazione di Silvano).
Sono Counselor, Business Coach e trainer, da oltre 20 anni amo accompagnare persone, gruppi, aziende e team di lavoro a trovare nuove soluzioni alle complessità della vita quotidiana di oggi.
L’insieme delle tante esperienze all’estero, che mi hanno permesso di interagire con diverse culture, assieme all’integrazione del counseling al coaching e la meditazione mi ha permesso di definire la mia mission personale: allenare le persone e dare il meglio di sé, creare valore, potenziare competenze e conoscenze, motivare a fronteggiare le turbolenze nella vita personale e professionale uscendone soddisfatti e rinforzati.
In base alla tua pluriennale esperienza di conduzione di gruppi di uomini, se dovessi fare una fotografia degli uomini oggi, ovviamente generalizzando, cosa descriveresti?
Come scrive J.J. Bola, agli uomini viene insegnato a indossare una maschera, una facciata dietro cui nascondere ciò che proviamo realmente e tutte le questioni, soprattutto emotive, che dobbiamo affrontare fin da piccoli. La nostra società ancora è, in genere, più patriarcale e questo modello crea l’illusione che gli uomini non abbiano nessun motivo per soffrire. Per fortuna non è sempre così, i colleghi, gli uomini che ho incontrato nei percorsi di crescita stanno iniziando a mettersi in discussione, a volere una comprensione piena e chiare di cosa significa essere uomini oggi. Ho osservato che, finalmente, in modo particolare nella dimensione priva di giudizio dei gruppi molte delle maschere stanno cadendo; ci si sta permettendo il condividere la fragilità, che spesso viene poi scoperta come grande punto di forza e sensibilità.
Voglio essere ottimista, un cambiamento è in corso ed in parte può davvero rappresentare un nuovo modo, libero, di esprimere l’essere uomo nel rapporto con il lavoro, con la sessualità, nella paternità, nella vita di coppia nel gruppo di amici; un cambiamento che vede noi uomini, farci portatori di confronto empatico, ad essere fuori dai pregiudizi e liberi da stereotipi nel per sviluppare relazioni autentiche. Stiamo iniziano. Più siamo, prima arriviamo ad essere comunità “sane”.
Quali sono le tematiche che vengono maggiormente affrontate nel lavoro con i gruppi di uomini?
Sono diverse le tematiche che vengono affrontate nei gruppi, variano a seconda di come è impostato il lavoro; a volte, nel caso di workshop strutturato, c’è un tema fissato ed il confronto, mediato dalle modalità del counseling di gruppo, verte sul tema specifico, possono esserci attivazioni creative che poi portano a riflettere su come ogni partecipante vive e affronta quel tema. In altre situazioni, il tema è libero, viene portato nel giro iniziale di apertura ed è relativo a ciò che in quel momento della vita quel partecipante o quei partecipanti stanno affrontando. Ascolto, confronto, scambio di vissuti sono le modalità.
In ogni caso le tematiche su cui spesso ci si confronta e si “lavora” sono la fiducia, la paura di essere fragili o “non all’altezza” di quello che gli altri chiedono, l’aver fatto abbastanza, la vita intima… La fatica di dove rispondere a modelli imposti.
Quali sono secondo te gli stereotipi più duri a morire che riguardano gli uomini?
Il contesto in cui attualmente viviamo è velocissimo, i ritmi sono veramente vorticosi. Lo spazio per l’attenzione alla vita interiore è pochissimo se non nullo.
Se non c’è spazio per soffermarsi a riflettere ecco che i “modelli imposti” prendono il sopravvento. L’esperienza nei gruppi, ma anche nelle sessioni individuali, ha messo in luce la paura di non sentirsi all’altezza. L’uomo che deve essere come i social impongono, lo sforzarsi di essere così. Di avere quel tipo di corpo. Quel tipo di prestazione sessuale, quel tipo di prestazione sportiva o lavorativa. Non ho trovato uno stereotipo in assoluto più duro a morire, ho trovato, nel confronto, a volte scontro, una consapevolezza: la paura di “non essere così come un uomo deve essere”.
E invece, quali pensi che siano gli stereotipi che si stanno piano piano scardinando? Gli uomini sono consapevoli degli stereotipi che li riguardano?
Non ho un riscontro preciso degli stereotipi che si stanno scardinando, posso che, nella mia esperienza, quello che si manifesta nei gruppi, in modo particolare quando un uomo porta un evidente atteggiamento/pensiero stereotipato è che il gruppo stesso, consapevole di quello che sta accadendo, “sfida” l’uomo ponendo domande potenti, domande che esplorano e che fanno vedere nuove opportunità di azione rispetto a ciò che in quel momento sta vivendo ed affrontando. Un effetto specchio potente possibile solo se c’è la fiducia all’interno del gruppo. Spesso è proprio questa azione di confronto che ci fa prendere consapevolezza degli atteggiamenti dettati dal dove essere come qualcun altro dice che dobbiamo essere. Gli uomini che decidono di mettersi in discussione iniziano a prendere consapevolezza di quanto a tutt’oggi, tutti siamo coinvolti e “contagiati” dagli stereotipi.
Da molto tempo le donne hanno messo in discussione gli stereotipi che le riguardano, secondo te a che punto sono gli uomini in questo processo?
In un’intervista Davide D’Alessandro, filosofo e saggista, dice: “È facile fare i maschi, molto difficile essere uomo. … È materia fragile, e piuttosto manovrabile e plasmabile, l’uomo, ma dalla fragilità può ricavarne forza. Sta a lui, alla sua condotta, al suo sapersi ascoltare …” Mettersi in discussione è faticoso, è uno stereotipato: “se ti metti in discussione sei debole”. Se guardo alla mia breve esperienza di conduzione di gruppi al maschile mi piace dire che siamo in evoluzione, è un percorso iniziato. Mi piace pensare che il cammino sia iniziato e che se ognuno di noi si fa da portavoce il processo può accelerare. Confrontandomi anche con alcuni colleghi che lavorano sulla tematica del maschile all’estero, posso davvero dire che siamo ancora molto indietro. Ma, ripeto, anche grazie a questo progetto e a questa nuova collaborazione con Venere50, mi piacere vedere la bottiglia mezza piena, abbiamo iniziato.
Quali pensi che potrebbero essere, a livello socio-culturale ma anche privato, le azioni necessarie per andare oltre gli stereotipi riguardanti il maschile?
Creare momenti di confronto, coinvolgere i tanti uomini che stanno lavorando all’andare oltre agli stereotipi riguardanti il maschile, di utilizzare la propria energia maschile per aprirci al confronto, fare vedere che le emozioni sono il nostro navigatore, che abbiamo bisogno di avere obiettivi chiari per poterle vivere in maniera sana, funzionale e sentirsi liberi e sereni. Per avere e scegliere relazioni nutrienti. Dobbiamo coinvolgere e chiedere il supporto alle colleghe e alle donne che tanto hanno lavorato per creare cultura attorno alla crescita e alla consapevolezza personale al maschile. Ne abbiamo bisogno.
Secondo te quali benefici avrebbero gli uomini se potessero liberarsi dagli stereotipi?
Sempre in questa intervista Davide D’Alessandro dice “L’uomo è sottoposto costantemente alla propria spersonalizzazione, è chiamato a misurarsi con svariati attacchi che arrivano da più parti. Attacchi che mirano a depotenziarlo, a ridurlo, a minimizzarne le qualità. Ma l’uomo resta una possibilità sempre viva e sempre aperta. La sfida lo abita, è dentro di sé, non fuori”. Ecco io credo che uscendo, anzi, scegliendo, di uscire dagli stereotipi, potremo sentirci liberi, non doverci misurare, poter scegliere. Essere autentici. Conoscersi ed esprimersi in libertà, con rispetto. Fermezza, ma anche comprensione e delicatezza. Potremo sviluppare relazioni autentiche e promuovere comunità sane.