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Nina Simone
(Tryon, 21 febbraio 1933 – Carry-le-Rouet, 21 aprile 2003)

Cosa significa essere liberi? È stato il mio tormento e la mia ossessione. La risposta che ho trovato è stata: non avere paura.
Chi sono? Chi volete voi, a me non importa, perché sono stata tante me. Prima di tutto sono nera, una concertista nera, che dopo aver consacrato tutta la sua infanzia e la sua adolescenza agli studi, è stata rifiutata dall’Università di Philadelphia. La stessa che mi conferì la laurea ad honorem quando ormai ero già una star mondiale.
Sono una donna che ha sempre avuto problemi con gli uomini: la delusione di mio padre, mio marito-manager-padrone, gli amici interessati, gli amanti di un giorno, gli impresari disonesti. E con le donne non è andata meglio nonostante il mio amore infinito per mia sorella e mia figlia.
Black bodies swinging in the southern breeze. Strange fruit hanging from the poplar trees”. Ho sempre cercato di interpretare le mie canzoni con sincerità e ho capito che dovevo scegliere tra lo stereotipo della diva o l’assoluta autenticità che mi avrebbe dato in pasto a tutto il mondo dello spettacolo. Ma io sono così. Una donna orgogliosa che necessita del palcoscenico. Sulle scene mi sono consumata fino a provare repulsione, come ho fatto con tutta la mia vita. Sono ambiziosa. Lo sono stata fin da bambina quando sognavo di trovarmi in cima al mondo con il rispetto e l’ammirazione di tutti, compresi i bianchi.

Così ho unito le mie canzoni alla lotta per i diritti civili dei neri. Ho conosciuto il movimento Black Power di Stokely Carmichael, leader rivoluzionario dei neri statunitensi e alla fine degli anni Settanta ho cercato di concludere ogni concerto sostenendo la nostra causa. Ho amato le mie radici in modo viscerale e mi sono trasferita per un periodo in Africa.
Ho lasciato che la musica e la politica riempissero interamente la mia esistenza, e ho messo la mia arte a servizio delle battaglie per i diritti civili. Ho unito il jazz, la musica classica, il gospel, il folk e le ballate, cercando di scuotere non solo la coscienza bianca ma anche la fierezza di un’intera comunità di artisti e militanti neri.

Black bodies swinging in the southern breeze. Strange fruit hanging from the poplar trees”. Sono gli orrori del razzismo e delle violenze dei bianchi sugli afroamericani. In molti hanno cantato le mie canzoni e ho sempre avuto l’appoggio di tanti attivisti, uomini e donne come Miriam Makeba, che ha lottato contro il regime di apartheid sudafricano.
Ho sempre creduto nell’amicizia e se non fosse stato per David (Bowie) non credo che ce l’avrei fatta. Ci incontrammo nel 1974 durante un momento critico per la mia carriera. Avevo accompagnato mia figlia a vederlo al Madison Square Garden. David aveva intuito che mi trovavo in un momento veramente difficile dal punto di vista professionale.
Ho usato il dolore per combattere la disuguaglianza e quando David mi disse di non smettere di credere in me stessa, ho spinto l’acceleratore fino ad usare quel male oscuro chiamato disturbo bipolare, come via di emancipazione delle donne e della comunità afroamericana.
Vita difficile per un’artista donna, di colore che si indigna e canta Mississipi Goddam, pezzo che non solo è stato osteggiato, ma censurato dalle radio dell’epoca. Ma io sono una guerriera e lo dissi anche a Martin Luther King. Sono sempre stata pronta a lottare per le mie idee.

Ho vissuto tanto e tutto. La mia vita è stata un susseguirsi di celebrazioni e di angosce, gli alti e i bassi. Ho pagato il prezzo di queste mie scelte e quando ad un certo punto nessuno mi voleva più ho risposto con un “fanculo”. Sono rimasta una ribelle, che ha sempre rifiutato di trasformarsi in un’icona da sfruttare. Perché alla fine io sono una sola cosa, sempre e solo Nina al piano.

 

Anna Perna: formatrice ad approccio umanistico e Gestalt counselor. Lavora nel campo dell’apprendimento continuo, occupandosi del tema della consapevolezza di sé e delle competenze relazionali. Nel tempo libero è autrice e regista teatrale.