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Mary W. Jackson
(Virginia 1921 – Virginia nel 2005)

Le donne sono poco portate per i numeri. Me lo sono sentita dire mille volte. Eppure a me fare i calcoli, metterli in relazione tra loro e vederne un’applicabilità mi ha sempre dato tanta soddisfazione! Il mio talento l’ho scoperto alla George P. Phenix Training school riservata ai neri, dove nel 1942 ho conseguito con i massimi onori accademici, la doppia laurea in matematica e in fisica.
Nonostante queste mie doti ho dovuto accettare diversi lavori e non tutti proporzionati al mio titolo di studio. Mi sono dedicata all’insegnamento presso una scuola per afroamericani nel Maryland, ho fatto la receptionist al King Street USO club della mia città e poi la contabile all’istituto del dipartimento per la salute. Mi sono sposata e ho avuto due figli.
E poi nel 1951 ho iniziato a lavorare come “computer umano” per quella che poi è diventata la Nasa.

Ricordo che in quell’ufficio vigeva la segregazione e noi donne, per lo più matematiche, anche nere, venivamo reclutate per controllare i calcoli eseguiti dalle macchine che poi mettevamo a disposizione dei ricercatori. È in questo ufficio che ho conosciuto Dorothy Vaughan, anche lei nera come me, anche lei matematica e programmatrice di computer e Katherine Johnson, anche lei laureata in matematica al West Virginia State College, una delle università per neri. Il nostro lavoro ha avuto un ruolo fondamentale nel successo della missione Friendship 7 di John Glenn nel 1962, primo americano a compiere almeno un’orbita attorno alla terra. Ricordo che John non si capacitava della nostra abilità e continuava a domandarci come facevamo ad essere così precise, tanto che si fidava più di noi che dei calcoli generati dai computer! Ci fece calcolare l’output di 11 diverse variabili con otto cifre significative e ci volle un giorno e mezzo per testarne la validità. Ma da allora noi tre eravamo il punto di riferimento per ogni operazione di quel tipo.

Poi nel 1953 ho lasciato la West area per collaborare con Kazimierz Czarnecki, il mio “mentore bianco”, un ingegnere che stava conducendo esperimenti alla galleria del vento supersonica. Ed è stato grazie a lui se sono diventata la prima donna afroamericana ingegnere alla Nasa. Devo dire che non è stato facile perché ho dovuto rimettermi a studiare in corsi riservati ai bianchi e per questo ho dovuto lottare e farmi dare un permesso speciale.
Ma la tenacia, la dedizione e il talento mi hanno spinta a perseguire la mia buona stella, diventando probabilmente l’unica donna nera ingegnere degli anni Cinquanta. Da quel momento ho prodotto tantissime pubblicazioni e le mie competenze non erano più in discussione ma i pregiudizi mi hanno fatto fare una scelta drastica.
Dopo un’attenta valutazione ho deciso di lasciare il mio ruolo per impegnarmi a promuovere le pari opportunità in campo scientifico nell’Ufficio programmi per le pari opportunità nella Nasa e nell’ Affirmative Action Program. In quel periodo ho infatti cercato di aiutare e sostenere le donne ad avanzare nella loro carriera, dandogli dei consigli sui metodi di studio e sulle strategie da usare per ottenere promozioni.
Ho lavorato fino al 1985 e ho ricevuto numerosi riconoscimenti. Ora che non ci sono più e che i tempi dei diritti e delle opportunità sembrano tornati indietro nel tempo, vedo che la NASA ha voluto intitolarmi il suo quartier generale di Washington. Un segnale per tutte le persone che vivono di pregiudizi ma anche per tutte le donne che non devono mai sottovalutare il proprio talento.

 

Anna Perna: formatrice ad approccio umanistico e Gestalt counselor. Lavora nel campo dell’apprendimento continuo, occupandosi del tema della consapevolezza di sé e delle competenze relazionali. Nel tempo libero è autrice e regista teatrale.