di Anna Perna
Elsa Morante
(Roma, 18 agosto 1912 – Roma, 25 novembre 1985)
Sono il mio canto, la voce delle storie che ho narrato in tutta la mia vita. Io sono il punto amaro delle oscillazioni tra le lune e le maree, cosa che ho cercato di descrivere ne Il mondo salvato dai ragazzini. Sono crisalide e farfalla interpreto gli eventi del mio tempo.
Mia madre era ebrea originaria di Modena. Faceva la maestra e mi ha trasmesso la passione per la letteratura e la poesia. Mio padre, Augusto Morante è stato sicuramente una figura importante, solida, la più conciliante e comprensiva nonostante il ruolo di istitutore in un riformatorio. E lo è stato fin da subito sia con me che con i miei fratelli dal momento che il nostro padre biologico, Francesco Lo Monaco, aveva ben pensato di declinare ogni sua responsabilità.
Chi mi conosce sa bene che la religione ebraica della mamma e la sfuggevolezza di mio padre sono sempre stati due temi che hanno segnato la mia vita e che ho elaborato attraverso le mie scritture.
Dopo il liceo, ho scelto di vivere da sola. Mi sono iscritta alla Facoltà di Lettere, ma non faceva per me così ho iniziato a mantenermi con varie collaborazioni a riviste, come «Il Corriere dei piccoli» e «I diritti della scuola», oltre che con traduzioni e lezioni private.
All’inizio ho dovuto scrivere con gli pseudonimi maschili Antonio Carrera e Renzo Diodati, ricalcando la cultura del momento e ci ho messo diversi anni prima di affermarmi come scrittrice, anche grazie al sostegno di mio marito. Non sono state poche le volte che mi sono domandata se la mia vocazione fosse stata premiata per le mie capacità o perché ero la moglie di Alberto Moravia.
Ma il desiderio e l’urgenza di esprimermi, di raccontare mi spingeva ad andare avanti per la mia strada. Con Il gioco segreto, una raccolta di racconti, ho unito elementi tematici legati alla teatralità, alla dimensione onirica, alla sensibilità verso personaggi smarriti, in cerca di appagamento, come quelli che mi si presentavano quotidianamente.
Ma è stato l’incontro con una donna che mi ha cambiato la vita e sto parlando di Natalia Ginzburg. È incredibile come le cose possano cambiare quando ci si sostiene! Così, grazie al suo interesse ho pubblicato il mio primo romanzo Menzogna e sortilegio, grazie al quale ho vinto il Premio Viareggio affermandomi come autrice. Da quel momento la mia timidezza ha finalmente lasciato il posto ad una nuova consapevolezza, quella di avere uno stile unico.
I romanzi sono come figli, ciascuno di loro ha le sue caratteristiche: sia Menzogna e sortilegio che L’isola di Arturo sono storie raccontate in prima persona. Sentivo la necessità di raccontare l’adolescenza attraverso la voce del protagonista e quel ritmo ciclico delle stagioni sull’isola di Procida.
Ho conosciuto molte persone e tutte mi hanno donato una ricchezza che ho voluto trasportare nei miei racconti. Dopo la seconda guerra mondiale, nel periodo precedente e subito dopo la bomba atomica sentivo il bisogno di impedire la disintegrazione della coscienza umana nel suo quotidiano alienante, ricostruendo un rapporto intimo tra realtà e scrittura restituendo il protagonismo alla gente comune.
Nel 1974 con La Storia ho cercato di scuotere la mentalità piccolo-borghese intorpidita e deferente nei confronti dei potenti. Fui criticata in maniera caustica da molta parte della critica militante, perché il romanzo fu considerato un libro troppo populista.
Ma io non mi rivolgevo alla critica, io volevo toccare l’anima di coloro che Beato Angelico definisce gli “idioti”, tutti coloro il cui intelletto è confinato nella dimensione quotidiana; non aspiravo ad una scrittura aulica ma piuttosto ad una certa immediatezza per cogliere tutte le sfumature del reale. Ho cercato di smantellare il pensiero della borghesia con i suoi falsi valori come mi ha insegnato il mio amico e fratello Pier Paolo Pasolini ma il suo tragico destino mi ha così turbata da perdere completamente la ragione.
È stato per questa idea di verità che mi sono ammalata ed è stato solo grazie all’appello di Alberto per ottenere un contributo dello Stato alle mie cure, viste le difficoltà economiche che venne varata la discussa legge Bacchelli.
Ho vissuto come sfollata durante la guerra, ho conosciuto personaggi incredibili subito dopo nel periodo della ricostruzione. Ho militato come intellettuale quando gli intellettuali contavano ancora qualcosa non perché tali ma perché capaci di aprire nei cuori uno squarcio sul mondo. Ho vissuto una vita piena, masticata, sofferta e beata. E in tutto questo mi sono intimamente ritrovata, come moglie, scrittrice e donna.
Anna Perna: formatrice ad approccio umanistico e Gestalt counselor. Lavora nel campo dell’apprendimento continuo occupandosi del tema della consapevolezza di sé e delle competenze relazionali. Nel tempo libero è autrice e regista teatrale.