Il 4 maggio è cominciata, in clima di grande confusione e incertezza normativa, la cosiddetta ”fase 2” dell’emergenza COVID. Ma intanto tocca fare i conti con le conseguenze sociali ed economiche che l’epidemia del Coronavirus ha prodotto. A rimetterci principalmente, come non era difficile prevedere, sono state e continueranno ad essere le fasce meno garantite e più vulnerabili della popolazione italiana e a pagare il prezzo più alto di questa crisi, come era prevedibile, sono le donne.
Il nostro non è mai stato un paese per loro: il bilancio del gender gap, in Italia , è uno dei peggiori d’Europa e se già le donne faticavano ad entrare nel mondo del lavoro, con un tasso di occupazione pre-crisi che non raggiungeva il 50%, questi due mesi di lockdown hanno peggiorato la situazione. La chiusura delle scuole ha infatti significato un improvviso aumento delle cure familiari e domestiche che stanno gravando principalmente sulle spalle delle donne, costrette a dedicare molte più ore all’accudimento dei figli, sottraendole fatalmente ai propri impegni professionali e lavorativi.
Sule pagine de Il Manifesto è stato pubblicato un intervento a firma di Clelia Alleri, Mara Congeduti, Sabrina Pittarello e Francesca Stangherlin, un gruppo di avvocate giuslavoriste bolognesi, intitolato “Quale lavoro femminile al tempo del Covid-19?”. Riprendiamo questo passaggio “Il venir meno del supporto scolastico potrebbe determinare, in concreto, una progressiva fuoriuscita delle donne dal mercato del lavoro soprattutto in quei contesti lavorativi nei quali già esiste un gap retributivo tra uomini e donne a parità di mansioni svolte, nonché nelle aree sociali e nelle famiglie (soprattutto straniere) più a rischio, ove la presenza delle donne nei luoghi di lavoro è già compromessa da retaggi culturali e dalla necessità di accudire, spesso, famiglie molto numerose. Viviamo giorni caldi, in cui si discute delle misure da mettere in campo al fine di garantire la ripartenza nella cosiddetta “fase 2”. A fronte del silenzio della Ministra Azzolina, alcuni Enti locali hanno formulato proposte volte a definire modalità di riapertura e gestione dei servizi scolastici, finalizzate a garantire il sostegno alle famiglie e comunque la piena sicurezza di insegnanti/educatrici, senza inficiare la funzione formativa della scuola.”
Come vediamo, le prospettive sono più che preoccupanti: l’emergenza sanitaria, si somma infatti a gravi e ben radicate deficienze culturali che il nostro paese non ha mai saputo realmente sanare e nello specifico, le istituzioni non hanno saputo proporre soluzioni capaci di evitare che le conseguenze dell’epidemia finissero, come purtroppo era prevedibile, per penalizzare ulteriormente chi già era penalizzato. Piove sul bagnato, è amaramente il caso di dire.
Se la crisi, non sarà utilizzata come opportunità per cambiare in meglio il nostro paese, aumenterà solo la drammatica e inaccettabile scusa per sottrarre diritti alle donne: e, purtroppo, non andrà tutto bene.