di Paola Vigarani
La parola inglese mobbing deriva dal verbo to mob, che letteralmente significa “affollarsi intorno a qualcuno con atteggiamento minaccioso”.
Alla fine degli anni ’80 il primo a parlare di mobbing fu Heinz Leymann, ricalcando l’etologo Konard Lorenz, che lo utilizzò per descrivere il comportamento di alcuni uccelli in presenza di un predatore che viene “mobbizzato” dal branco. Egli trovò un’analogia tra l’aggressività degli uccelli e quella manifestata dai lavoratori nei confronti di altri, descrivendo così gli atti vessatori e persecutori come una forma di terrorismo psicologico che implica un atteggiamento ostile e non etico, posto in essere in forma sistematica (per almeno sei mesi), non occasionale ed episodica, da uno o più soggetti detti “mobber”(datore di lavoro e/o colleghi), nei confronti di un solo individuo mobbizzato, il quale viene a trovarsi in una condizione indifesa, di debolezza e di sofferenza. Perciò la vittima del mobber subisce aggressioni intenzionali ripetute volte alla distruzione psicologica, sociale e professionale.
Il mobbing può esprimersi sotto varie forme, in quanto non esiste un comportamento univoco, pur mantenendo dinamiche comportamentali e psicologiche proprie della violenza nella relazione d’intimità, soprattutto quando il mobber è uomo e la vittima mobbizzata è una donna. In questo caso si parla di mobbing di genere.
Per quanto riguarda la figura del mobber, l’European Agency for Safety and Healthat Work, ha riportato nel 2003 che le donne sono vittime di intimidazioni e di mobbing più frequentemente degli uomini. Altri studi (UNISON, 2001) mostrano come gli uomini siano nella maggior parte dei casi i responsabili di azioni di mobbing, probabilmente anche per le posizioni lavorative da loro occupate: essi ricoprono cariche dirigenziali più spesso delle donne. Secondo dati Istat riguardanti il biennio 2008-2009, le donne appaiono come i soggetti più a rischio di essere vittime di atti vessatori: il 62% del mobbing subito in Italia riguarda le donne. La percentuale aumenta quando si tratta di lavoratrici madri con figli piccoli, che assieme a donne con disabilità e donne mature con età comprese tra i 50 e i 60 anni, sembrano essere le categorie più a rischio.
Questi dati fanno quindi pensare al mobbing come ad un fenomeno di genere e pertanto meritano alcune riflessioni che tengono conto della disuguaglianza confrontabile tra uomini e donne, senza dimenticarci che tale disparità è definita dall’ordine patriarcale che sancisce il predominio maschile, sociale ed organizzato, in famiglia e nel lavoro sul femminile.
La prima riflessione riguarda la modalità di attuazione del mobbing: le lavoratrici subiscono più scenate e critiche senza motivo, sono più spesso umiliate e denigrate, non si rivolge loro la parola a scopo punitivo e ricevono più offerte e molestie di tipo sessuale. Gli uomini, invece, vengono solitamente costretti a lavorare in condizioni di disagio, vengono privati di incentivi o promozioni riservati ad altri, ricevono maggiori sanzioni o controlli disciplinari e sono maggiormente attaccati per le loro idee politiche e religiose.
E’ inoltre importante notare che ad influenzare i dati è in gran parte la percezione soggettiva di essere vittime di tale atteggiamento. Gli uomini, infatti, mostrano una minore propensione delle donne a considerarsi delle vittime, ma si attivano molto più velocemente delle donne per chiedere legalmente la cessazione degli atti vessatori. Le donne subiscono più spesso e più a lungo prima di esporsi, denunciando gli atti mobbizzanti.
Un’altra riflessione riguarda la fascia d’età più colpita; quella che riguarda le donne con età compresa tra i 50 e i 60 anni. E’ proprio in questa fascia d’età che le donne, più lente rispetto agli uomini possono fare carriera e raggiungere ruoli ai vertici e trovare così un definitivo assestamento. L’acquisizione per una donna di ruoli ai vertici può essere vissuto come una minaccia e un sopruso e scatenare condotte mobbizzanti tra i colleghi uomini.
Per concludere, il mobbing di genere è violenza di genere: un insieme di azioni che promuovono e cercano di mantenere la superiorità del maschio “egemone” anche in ambito lavorativo.