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L’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce la medicina di genere come lo studio dell’influenza delle differenze biologiche (definite dal sesso) e socio-economiche e culturali (definite dal genere) sullo stato di salute e di malattia di ogni persona.
Il corpo femminile per molto tempo è stato visto come “variante” del corpo maschile, ad esso riconducibile. Solo negli ultimi anni c’è stata una presa di coscienza globale sull’importanza di prendere in considerazione le differenze – biologiche e socio-culturali – in ambito medico, in quanto si è reso evidente come determinate patologie abbiano una diversa incidenza, sintomatologia ed esiti diversi tra uomini e donne e di come si debba quindi tenere conto di tali differenze in tutte le fasi del percorso di cura, dalla diagnosi al trattamento.
Implementare una medicina attenta al genere, inteso non solo come prerogativa biologica, ma anche qualità indotta da cultura e società, dovrebbe migliorare e personalizzare la diagnosi e la terapia delle malattie e ridurre così gli errori nella pratica medica.

Ogni settimana, su questo argomento, vi proporremo le risposte a cinque domande che abbiamo voluto porre a delle professioniste, impegnate in settori diversi dell’ambito medico.

Giovanna Rossi, ginecologa, laureata in medicina e chirurgia presso l’Università di Bologna. Ginecologa presso il Centro per la Salute della donna Agorà di cui è presidente. Specializzata in omeopatia, menopausa, naturopatia e psicoterapia. Conduce gruppi di lavoro con donne sulla guarigione fisica e psichica, sulla psicologia degli affetti e sulla meditazione come terapia dell’anima.

Come vivi nella tua esperienza professionale il peso delle differenze: uomini e donne, giovani e vecchi, etnie differenti, ecc.?

Io sono curiosa, alla radice della scelta di diventare psicoterapeuta c’era la curiosità di capire come funziona la psiche, la mia e quella delle persone attorno a me.
Anche diventare medico è stata una scelta dettata dalla curiosità di sapere come funziona il corpo umano, cosa c’è sotto la pelle, dentro il cervello, nel cuore …  Mentre studiavo gli altri ho incontrato me stessa e questo rispecchiamento ancora oggi mi affascina. Siamo tutti diversi e anche infinitamente simili.
Questa consapevolezza mi permette di trovare un linguaggio e un approccio adeguato ad ogni persona che chiede il mio aiuto.
Ogni incontro è uno stimolo e un richiamo a mettermi in discussione per farmi capire e soprattutto per accettare ciò che non capisco.

Nella tua esperienza professionale quali sono le richieste e i bisogni più frequentemente manifestati dalle donne?

Per rispondere alla domanda su quali siano i bisogni delle donne servirebbero fiumi di inchiostro…
Molta della mia vita professionale, dall’epoca del femminismo in poi si è occupata di dare alle donne strumenti per migliorare la propria salute e poter effettuare scelte consapevoli: come fare prevenzione nei confronti delle malattie, come evitare gravidanze indesiderate, come risolvere il problema di interrompere una gravidanza indesiderata in modo sicuro e consapevole, come affrontare la gravidanza e la menopausa.
Le richieste delle donne di solito sono molto concrete ma devo dire che sempre dietro un bisogno apparentemente concreto si nasconde la richiesta di essere semplicemente ascoltata e capita.
Le donne cercano dal medico non solo competenza e conoscenze scientifiche ma anche e direi soprattutto essere accolte e accompagnate nel proprio percorso di cura.

Quali sono le principali resistenze e paure che le donne esprimono nella richiesta di essere curate?

Nel mio modo di fare il medico ho optato per un approccio terapeutico integrato, cerco di unire dove possibile, l’utilizzo di pratiche non convenzionali quali l’omeopatia, la fitoterapia, l’attenzione agli aspetti emotivi e psicologici.
Devo dire che le donne che si rivolgono a me richiedono questa modalità terapeutica che cerca di non sopprimere semplicemente il sintomo bensì di recepirne il messaggio.
A mio avviso molte donne temono l’approccio medico invasivo e a fronte di tante paure e ansie circa la salute propria e dei propri familiari, sono estremamente esigenti e selettive circa la scelta del tipo di cura da adottare.
Spesso si documentano circa i propri sintomi e le proposte terapeutiche possibili e secondo la mia esperienza apprezzano una condivisione e una discussione aperta col medico che scelgono.

Le donne mostrano di apprezzare il fatto che l’operatore sanitario è donna?

Soprattutto nella mia esperienza come ginecologa il fatto di essere donna costituisce un valore aggiunto…in passato non era così in quanto i medici erano prevalentemente maschi, ma ora la presenza femminile in medicina è massiccia.
Se in altre specialità il sesso del medico non è una variabile determinante in ambito ginecologico diventa invece un discrimine importante. Una donna si rivolge a una ginecologa con una maggiore disponibilità ad aprirsi e a raccontare di sé e dei propri sintomi, ad entrare nella propria intimità con la speranza di essere capita davvero e meglio.
Anche le nuove generazioni a mio giudizio scelgono un medico donna come riferimento per la propria salute e spesso si dimostrano particolarmente esigenti rispetto alla qualità del rapporto, sono spesso super informate ma anche a volte confuse sulle opportunità delle scelte terapeutiche.

Dal tuo punto di vista, essere donna influenza il tuo approccio alla cura in rapporto alle varie età e differenze culturali?

Appartenere a un genere influenza la nostra vita, le nostre percezioni e le nostre scelte.
Devo dire che essere donna quindi condividere di fatto il mondo delle donne, aver vissuto e vivere in prima persona i problemi delle mie pazienti mi fornisce una visione più ampia e al contempo più profonda: non farei una proposta diagnostica né consiglierei una terapia che non fosse accettabile anche per me. Il fatto di potermi identificare con la paziente mi fornisce equilibrio e una sensibilità particolare: dare risposte diventa a questo punto, una responsabilità sociale e culturale.