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Il tema specifico della violenza nella relazione d’intimità è un fenomeno di intessere consolidato per Venere50.
Sono anni, ormai, che viene studiato in molti ambiti e con diversi approcci, ma per raggiungere una comprensione veramente multidisciplinare di questo fenomeno così complesso, crediamo sia necessario continuare ad analizzarlo attraverso le voci di chi l’ha direttamente subito.

Il problema della violenza maschile contro le donne è un fenomeno trasversale. I dati ci informano che colpisce donne di tutte le estrazioni sociali, professioni, età e nazionalità e ha un impatto negativo su tutti gli aspetti della vita di una donna e spesso, ovviamente, anche dei suoi figli.

Con questa intervista rivolta a donne di diverse età, vogliamo evidenziare e fare emergere le difficoltà e le problematiche che incontrano le vittime all’uscita della violenza portando il focus sulle differenze e le uguaglianze generazionali.

S. 41 anni (aveva 36 anni)

Dopo quanto tempo ti sei resa conto di vivere in una relazione con un partner maltrattante? Quali sono stati i tuoi “campanelli d’allarme”? Quando sei divenuta consapevole che stavi vivendo un disagio a seguito della violenza psicologica subita?

Non ho subito violenza da un partner maltrattante, ma sono stata vittima di stalking da parte di una donna: la moglie di un collega da cui ero attratta anni fa. Sul momento non mi rendevo conto di subire violenza, anche se fin da subito i suoi messaggi che ricevevo sul telefono del lavoro, i social e le telefonate che spesso mi faceva con numero sia sconosciuto che non, suscitavano in me molta ansia. Mi sono resa conto del disagio che era derivato dalla violenza psicologia subita solo quando la violenza è finita (finita grazie alla mia doppia querela – doppia perché la prima non era bastata e malgrado quella la sua invasione della mia privacy si era fatta ancora più insistente e molesta), e dopo aver approfondito quello che avevo vissuto con una counselor esperta in violenza di genere.

Spesso il partner normalizza e si legittima la violenza agita, ti è capitato in una fase iniziale di comprendere le sue ragioni e di giustificarlo? Se sì per quali motivi?

Ho giustificato in diverse occasioni la mia carnefice all’inizio. Credevo fosse legittimata ad essere arrabbiata con me, anche se l’aggressività con cui si rivolgeva a me mi faceva stare male. I miei sensi di colpa mi impedivano di essere lucida e reagire a questa aggressività. Credevo fosse colpa mia e in fondo probabilmente credevo di meritare quello che mi stava succedendo, come se “me la fossi cercata”.

Quando hai deciso di uscire dalla relazione violenta, hai chiesto sostegno ai tuoi genitori? Come hanno reagito?

Non ho mai parlato con i miei genitori di questo, ma ho cercato l’aiuto soprattutto in una amica e collega, che mi è stata molto vicina. Inoltre ho messo a conoscenza del tutto diversi colleghi, figure anche amiche oltre che miei responsabili, che mi hanno dimostrato solidarietà e mi hanno aiutata a non sentirmi isolata e vulnerabile.

Hai mai subito vittimizzazione secondaria? Se si da chi?

Ho confidato il tutto anche ad un’amica avvocato che mi ha aiutato nell’inviare alla mia stalker una lettera di diffida prima che arrivassi alla denuncia, ma questa amica in parte mi ha giudicata, agendo così vittimizzazione secondaria nei miei confronti. Anche per questo mi sono data ulteriormente delle colpe. Inoltre l’avvocato tramite cui ho sporto querela ha agito vittimizzazione secondaria nei miei confronti, credo a causa della sua profonda ignoranza in tema di violenza e soprattutto di violenza di genere.

Se avessi avuto più anni di quelli che avevi durante la relazione violenta pensi sarebbe stato più semplice o più complesso uscirne?

Quando ho subito stalking avevo tra i 35 e i 36 anni. Ora ne ho 41. Penso che se avessi subito quella violenza più avanti sarebbe stato peggio, perché la mia bimba che allora aveva appena 2 anni sarebbe stata grande e capace di capire bene quello che mi stava accadendo. Penso che avrei temuto molto anche il suo giudizio, oltre a essere spaventata che mia figlia fosse direttamente attaccata dalla mia carnefice, che all’epoca comunque non ha esitato nel citare più volte mia figlia nei suoi messaggi e nelle sue chiamate per farmi stare male e per cercare di manipolarmi.