Questa settimana vi proponiamo un estratto dell’articolo pubblicato su The Conversation, a firma di Jacquie Gahagan e Denyse Rodrigues
In passato molte lesbiche cercavano l’invisibilità, chiamandosi “amiche o “ragazze in carriera” o “tipe da non sposare”. Questi appellativi hanno funzionato come camuffamento e hanno aiutato molte donne a sentirsi al sicuro in un periodo in cui la loro sessualità non era accettata. E mentre l’invisibilità a volte era una “finzione necessaria”, c’erano molti altri fattori che contribuivano a creare lo stigma, inclusa la lesbofobia. La lesbofobia è un tipo di discriminazione che colpisce le donne che si sentono attratte dalle donne per il loro orientamento sessuale.
Negli ultimi decenni, i termini dell’identità, come lesbica, hanno attraversato diversi cicli. Le parole coniate dalle comunità 2SLGBTQQIA+ (Two-Spirit, Lesbian, Gay, Bisexual, Transgender, Queer, Questioning, Intersex, Androgynous and Asexua) sono spesso usate in modo improprio, fino a diventare insulti, ma questi insulti possono invece essere rivendicati. “Lesbian”, ad esempio, è stato rivendicato dalle attiviste negli anni ’60, appena prima che la comunità adottasse “LGBT”, che si è trasformato nel più inclusivo “2SLGBTQQIA+”. E mentre era ancora un termine controverso, la generazione successiva ha iniziato poi a rivendicare il termine “queer”.
Siamo coinvolte in progetti comunitari chiamati Nova Scotia LGBT Seniors Archive e Lesbian Oral History Project, iniziative che si concentrano sulla raccolta di storie della generazione che ha iniziato a usare la parola ”lesbica” e di quelle che ancora non ne hanno avuto la possibilità. La storia delle persone 2SLGBTQQIA+ non può essere completa senza le storie di queste donne, ma violare la loro invisibilità ferocemente protetta, solleva questioni etiche: possiamo descriverle nella loro lingua? Le generazioni di lesbiche canadesi che sono state determinanti nella prima lotta per la parità di diritti e tutele delle persone 2SLGBTQQIA+ sono ora nei loro anni della maturità. Nonostante i loro sforzi per sostenere il cambiamento, le storie delle lesbiche più anziane finiscono spesso per essere inosservate o sottovalutate.
Le lesbiche più anziane non sono un prodotto invisibile dei loro tempi, ma piuttosto le custodi di una ricca storia della vita delle donne che amano le altre donne. Abbiamo scoperto che c’è una lotta perché le nostre storie vengano ascoltate. Poiché molte di noi invecchiano, rischiamo di perdere questa ricca storia. Ma i progetti di archiviazione della storia orale delle lesbiche, come quello che stiamo portando avanti, stanno aiutando a contrastare questo fenomeno di rimozione. Le storie orali possono creare opportunità di insegnamento e apprendimento intergenerazionali affinché le persone comprendano le loro lotte e le loro vittorie.
Per rimediare a questa mancanza di rappresentazione, l’archivio ha cercato finanziamenti dal governo provinciale per sviluppare il Lesbian Oral History Project, che consentirà alle lesbiche più anziane (in particolare quelle nate tra il 1946 e il 1964) in tutta la Nuova Scozia di condividere le loro storie. Le storie orali sono state raccolte in un periodo di due anni, recentemente trascritte e saranno incluse nella più ampia collezione Nova Scotia LGBT Seniors Archive presso la Dalhousie University.
(Questo articolo ha come co-autrice Anne Bishop, attivista, autrice, educatrice, sostenitrice della sicurezza alimentare, organizzatrice del lavoro e operaia per lo sviluppo della comunità. Dagli anni ’80 ha sostenuto i diritti LGBTQ, l’organizzazione sindacale, l’equità e le politiche antirazziste nella provincia della Nuova Scozia.)