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L’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce la medicina di genere come lo studio dell’influenza delle differenze biologiche (definite dal sesso) e socio-economiche e culturali (definite dal genere) sullo stato di salute e di malattia di ogni persona.
Il corpo femminile per molto tempo è stato visto come “variante” del corpo maschile, ad esso riconducibile. Solo negli ultimi anni c’è stata una presa di coscienza globale sull’importanza di prendere in considerazione le differenze – biologiche e socio-culturali – in ambito medico, in quanto si è reso evidente come determinate patologie abbiano una diversa incidenza, sintomatologia ed esiti diversi tra uomini e donne, e come si debba quindi tenere conto di tali differenze in tutte le fasi del percorso di cura, dalla diagnosi al trattamento.
Implementare una medicina attenta al genere inteso non solo come prerogativa biologica ma anche qualità indotta da cultura e società, dovrebbe migliorare e personalizzare la diagnosi e la terapia delle malattie e ridurre così gli errori nella pratica medica.

Giovanna Della Bona: laureata in Farmacia, dal 1985 esercita la professione di farmacista territoriale a Modena. Fin dai tempi dell’università si interessa di farmacognosia e piante officinali, specializzandosi in fitoterapia. Da oltre trent’anni si dedica allo studio dell’omeopatia frequentando scuole di diverse correnti. Nel suo lavoro affianca la medicina tradizionale alla medicina complementare, per unavisione più ampia della cura. Esperta in preparazioni galeniche, è docente di Farmacoprassia omeopatica alla Scuola di Medicina Omeopatica di Verona.

 

Come vivi nella tua esperienza professionale il peso delle differenze: uomini e donne, giovani e anziani, etnie differenti, ecc.?

Da molti anni mi occupo di medicine complementari e soprattutto di omeopatia. Questo approccio terapeutico mi ha insegnato a considerare la persona nel suo insieme, come una, unica e irripetibile. Questo tipo di medicina estremamente individualizzato tiene conto non solo dei sintomi fisici e mentali, ma anche di tutti i fattori che possono influenzare la persona, come ad esempio le differenze biologiche, socioeconomiche e culturali.
Un approccio collaudato che applico sia in omeopatia che nella medicina tradizionale, cercando di trovare sempre la terapia migliore per la persona in base alle sue peculiarità.

Nella tua esperienza professionale quali sono le richieste e i bisogni più frequentemente manifestati dalle donne?

In questi quasi quarant’anni di professione ho constatato che la figura femminile è molto cambiata come è cambiato il mondo che ci circonda.
Un tempo la donna si dedicava prevalentemente alla famiglia, oggi oltre essere moglie e madre che lavora ha spesso anche parenti anziani da accudire. Tutto ciò l’ha portata ad un surplus di lavoro e responsabilità che spesso generano ansia e stress. Questi ultimi due anni di pandemia non hanno fatto che peggiorare la situazione. Quindi, oltre alle solite richieste che riguardano patologie della sfera femminile, hanno bisogno di rimedi per ovviare a sintomi di ansia-depressione, paura di essere inadeguate e di non farcela.

Quali sono le principali resistenze e paure che le donne esprimono nella richiesta di essere curate?

Ci sono momenti della vita in cui le donne hanno bisogno di affidarsi alle cure di qualcuno e preferiscono sicuramente rivolgersi alla medicina complementare es: sindrome premestruale, gravidanza, allattamento e soprattutto menopausa. La menopausa è un evento fisiologico che però spesso non viene vissuto bene dalle donne, sia dal punto di vista fisico che mentale. Talvolta hanno solo bisogno di parlare ed essere confortate. Preferiscono non ricorrere a cure farmacologiche, perché ritenute troppo invasive e desiderano essere curate con omeopatia e fitoterapia.
Nella mia esperienza ho constatato anche la differenza di resistenze e di richieste da parte di donne di etnie e religioni diverse. Spesso vengono accompagnate dal marito perché non conoscono la lingua e a volte è difficile capire quale è la vera esigenza della donna. Oppure sono donne che non lavorano e chiedono al marito il permesso di comperare farmaci, perché questo richiede un uso di risorse che spesso sono per loro molto limitate.

Le donne mostrano di apprezzare il fatto che l’operatore sanitario è donna?

Sicuramente una donna preferisce parlare con un operatore sanitario donna e questo lo noto soprattutto nelle adolescenti e nelle ragazze giovani. Le donne più mature invece non fanno grande differenza, chiedono di parlare con me, non perché donna, ma perché esperta in medicine alternative.
Credo che il rapporto immediato di intimità che si instaura tra una donna che richiede un consiglio ad un operatore sanitario donna sia impagabile sulla qualità della scelta terapeutica, ma soprattutto perché sono loro che di solito compiono le scelte sanitarie per tutta la famiglia e sono loro ad occuparsi in particolare di bambini e anziani.
L’essere un operatore sanitario donna, mi fa approcciare più facilmente la clientela femminile fornendo loro una guida anche sui prodotti cosmetici, sui loro effetti collaterali, dispensando così consigli utili per una corretta cura e igiene della persona.

Dal tuo punto di vista, essere donna influenza il tuo approccio alla cura in rapporto alle varie età e differenze culturali?

Comunicare e informare in maniera adeguata e competente oggi, sta diventando sempre più importante per una figura professionale quale il farmacista, anello fondamentale della catena della salute.
Spesso il mio essere donna e madre facilita il potermi identificare con il cliente, instaurando immediatamente un rapporto di fiducia e trasparenza. L’essere donna, madre e soprattutto nonna, mi fa intuire a volte la difficoltà di
espressione dei più giovani, ma soprattutto l’imbarazzo dei miei clienti anziani con differenze culturali dovute all’età.
L’essere donna, infine, associando la mia sensibilità alla mia esperienza, mi facilita spesso il compito sull’approccio alla diagnosi e alla scelta corretta della cura per ogni mio cliente.