Il corso “Violenza di genere e relazione d’aiuto” è una formazione sulla relazione d’aiuto con persone vittime di violenza. Il corso fornisce competenze necessarie all’individuazione della violenza nella relazione d’intimità e all’analisi dettagliata del fenomeno, con particolare attenzione alle dinamiche psicologiche e comportamentali agite nella relazione. La formazione permette di acquisire strumenti indispensabili al sostegno e all’uscita dalla spirale della violenza, sia per chi la subisce sia per chi la agisce.
Venere 50 è tra i soggetti organizzatori di questa formazione e ogni mese vi propone un’intervista per presentarvi le docenti e i docenti del corso.
Qual è la tua professione?
Sono una counselor professionale, una mediatrice familiare e vittimologa. Mi sono occupata per anni di urgenze ed emergenze relative alla violenza nella relazione d’intimità e di formazione all’interno dei centri antiviolenza. Sono la fondatrice del gruppo A.M.A. Le Fenici. Faccio parte dell’equipe del Centro Armonico Terapeutico-Centro di seconda accoglienza e coordinatrice dello sportello d’ascolto per vittime di violenza nella relazione d’intimità “Insieme Contro La Violenza”.
Che cosa evoca in te la violenza di genere?
Ogni volta che penso alla violenza di genere, penso allo sguardo spento, dimesso, spaventato, rassegnato ed impotente di mia nonna. Penso alla vergogna nel raccontarsi e sento ancora ora la sua profonda solitudine. Sento il giudizio di chi l’ha sempre giudicata una persona fragile e incapace di reagire ai soprusi di mio nonno. Penso che nella vita sia stata più spesso giudicata lei come incapace anziché mio nonno come violento.
Qual è la cosa più importante che desideri trasmettere a chi si è iscritto al corso?
La formazione ai professionisti della relazione d’aiuto in merito alla violenza di genere è per me un imperativo etico, morale e anche deontologico. In anni di lavoro con le vittime ho assistito troppo spesso alla vittimizzazione secondaria agita sulle vittime da chi, al contrario, era preposto al sostegno, determinando spesso in senso negativo l’uscita dalla relazione violenza già così complessa. Ho visto donne inviate a psichiatri da medici di base ai quali avevano avuto il coraggio di raccontare il motivo dei lividi, ho accolto donne alle quali è stato suggerito dalle forze dell’ordine di non denunciare, di pensare al bene della famiglia.
Ho ascoltato tantissime donne che non erano state ascoltate e credute, che peggio ancora, avevano subito un processo di colpevolizzazione. Ho capito bene che anche una singola parola, una frase sbagliata, alla mercé di tutti, può cambiare in negativo l’epilogo del provare a chiedere aiuto per attuare il cambiamento verso la salvezza. La formazione in questa ottica diventa quindi uno strumento urgente e necessario di scardinamento culturale degli stereotipi ancora fortemente diffusi ed agiti.
Indica un’azione concreta che ognuna/o di noi può fare nel quotidiano per contrastare la violenza di genere.
La violenza di genere non è un fatto privato, riguarda tutti noi; donne e uomini, nessun escluso, dovremmo tutti non normalizzare e legittimare la violenza di genere, con particolare attenzione a quella psicologica, ancora troppo spesso non riconosciuta come forma di violenza. Un’azione concreta che potremmo tutti quanti attuare è un processo di consapevolezza che parte dallo smascheramento di ogni forma di violenza di genere. Vederla, consapevolizzarla e prendere una posizione contro.