Lo stereotipo è la componente cognitiva alla base del pregiudizio, ossia quell’opinione positiva o negativa su gruppi o soggetti, non documentata, che formuliamo precedentemente, senza avere nessuna prova o supporto.
Tra gli obiettivi principali del lavoro di Venere 50 c’è proprio quello di andare ad esplicitare gli stereotipi che spesso inconsapevolmente determinano le idee e le rappresentazioni che abbiamo del mondo.
Gli stereotipi di genere sono l’insieme rigido di credenze condivise e trasmesse socialmente, su quelli che sono e devono essere i comportamenti, il ruolo, le occupazioni, i tratti, l’apparenza fisica di una persona, in relazione alla sua appartenenza di genere.
Come redazione del collettivo Venere 50 inauguriamo un ciclo di confronti sul tema degli stereotipi di genere con donne di diverse età, intervistando le tante donne che compongono l’équipe del Centro Armonico Terapeutico.
Questa settimana ne abbiamo parlato con
Margherita Carretti, Etologa e Naturalista, referente della Scuola di Pet Therapy Relazionale Integrata, socia della cooperativa sociale LUNEnuove. Si occupare da oltre dieci anni di mediazione nella relazione d’aiuto coadiuvata da Animali e Natura.
Hai vissuto stereotipi di genere nella tua famiglia d’origine? Se sì, quali?
Si, rispetto alla visione stereotipata della “brava bambina”, rappresentata da colei che risulta accondiscendente alle richieste degli altri, ubbidiente e remissiva. Una visione con la quale, ovviamente, mi sono sempre scontrata fin da piccola anche se inconsapevolmente. Questi stereotipi di genere portavano richieste dirette e creavano aspettative rispetto al mio comportamento e non a quello di mio fratello. Ogni volta che mi rifiutavo di vestire i panni della “brava bambina” nasceva un conflitto con i miei genitori e una delusione, che poi spesso mi portava, alla fine, a soddisfare le loro richieste per non deluderli. Questa reazione è entrata in profondità nel mio essere e mi rendo conto di portarmela ancora dietro nelle dinamiche relazionali che vivo.
Se hai vissuto stereotipi di genere, questi sono stati manifestati maggiormente dalle figure di riferimento maschili o femminili?
Da quelle maschili, soprattutto da mio papà, originavano le richieste con l’aspettativa di un mio comportamento accondiscendente e quando questa non veniva soddisfatta sorgevano il conflitto e i miei sensi di colpa. Da parte di mia mamma invece c’è stato più un atteggiamento neutrale che cercava di evitare i conflitti, per cui le sue aspettative sui miei comportamenti erano meno evidenti, ma comunque presenti.
Quali stereotipi di genere pensi siano più difficili da superare?
Quelli inconsapevoli, più sottili e radicati alla nostra cultura cattolica, che dipingono la donna con caratteristiche di accondiscendenza, remissività, accoglienza costante e come colei che si prende cura di tutti e della casa. Queste caratteristiche non sono di per sé negative, ma rispecchiano solo una piccola parte delle sfaccettature della personalità femminile che la donna, come ogni altro essere vivente, porta dentro sé. Fermarsi solo a queste, senza accettare tutte le altre sfumature, alcune anche molto contrastanti, porta la donna a sentirsi sbagliata e a non accettarsi per quello che è in realtà.
Come vedi il futuro rispetto alla parità di genere?
Penso che ci sia tanto bisogno di portare alla luce narrazioni di un femminile integro e che dia valore a tutte le sue parti, anche quelle ombra, legittimandole e non demonizzandole. Inoltre, penso che affiancato alla lotta verso la parità di genere, ci sia bisogno di tanta educazione verso le nuove generazioni e non solo, in modalità accogliente e non giudicante. Spesso chi fa discriminazione di genere ne è inconsapevole, come chi la subisce. Per portare un vero cambiamento c’è necessità di evitare le polarizzazioni tra “cattivi” e “buoni”. Abbiamo tutti bisogno di sentirci compresi nelle nostre fragilità, solo così potremmo riuscire a portare un cambiamento profondo.