di Anna Perna
Hannah Arendt
(Hannover 1906 – New York nel 1975)
Mi chiamo Hannah. Sono nata ad Hannover nei primi anni del 1900 ma la vita mi ha condotto negli Stati Uniti dove ho ricevuto la cittadinanza nel 1933 a seguito del mio ritiro dalla Germania a causa delle mie origini ebraiche. In realtà sono rimasta apolide per tanto tempo e so cosa vuol dire essere una rifugiata.
Mi sono occupata di tante cose. Ho lavorato come giornalista e docente universitaria e ho pubblicato opere di filosofia anche se ho sempre rifiutato di essere categorizzata come filosofa, preferendo essere descritta come una teorica politica. E neppure quest’ultima definizione mi ha mai convinto fino in fondo! In realtà sono sempre stata molto riservata per quanto riguarda le mie passioni private. Ho sempre provato un’idiosincrasia per l’appartenenza a gruppi o partiti.
“La verità è che io non ho mai avuto la pretesa di essere qualcosa d’altro o diversa da quello che sono, né ho mai avuto la tentazione di esserlo. Sarebbe stato come dire che ero un uomo e non una donna – cioè qualcosa di insensato. […] ho sempre considerato la mia ebraicità come uno di quei fatti indiscutibili della mia vita, che non ho mai desiderato cambiare o ripudiare. […] Ciò che confonde è che le mie argomentazioni e il mio metodo sono diversi da quelli a cui ci si cui si è abituati; in altre parole, il guaio è che sono indipendente.
Con questo intendo dire, da un lato, che non appartengo ad alcuna organizzazione e parlo sempre e solo per me stessa; dall’altro, credo profondamente che né l’ideologia, né l’opinione pubblica, né le ‘convinzioni’ potranno mai sostituire ciò che sento e penso nel profondo”. (da H. Arendt, Ebraismo e modernità, a cura di G. Bettini, Milano, Unicopli 1896, pp. 221-2, p. 226. Lettera a Gershom Scholem del 24/7/1963. )
“Considerando la posta in gioco di ciò che è stato e ciò che ho visto, tutto mi sembra frivolo”.(H. Arendt, M. McCarthy, Tra amiche. Corrispondenza 1949-1975, a cura di C. Brightman, Palermo, Sellerio 1990, p. 383 )
Più volte ho sostenuto di voler comprendere la contemporaneità che ha prodotto la shoah, il totalitarismo e la bomba atomica. E per questo sono stata accusata dalla comunità ebraica. Ma se vogliamo essere contemporanei dobbiamo sfidarci fin dove arriva la nostra comprensione. Perché comprendere un fenomeno non significa né assecondarlo, né accettarlo, né tanto meno giustificarlo. Ed è grazie a questa mia volontà di comprendere che ho contribuito alla riflessione sull’olocausto grazie ad uno dei concetti che mi hanno resa nota cioè la banalità del male.
Per farlo ho dovuto per forza avvicinarmi al pensiero di Eichmann e lala sua incapacità di pensare. Quell’uomo non mancava certo di cultura o di intelligenza, bensì di incapacità di distinguere il bene dal male. La coscienza di Eichmann era una coscienza in cui dominava il disordine delle emozioni da un lato, e dall’altro l’obbedienza alla norma e all’autorità. Eichmann, come molti criminali nazisti, poteva essere tenero con i suoi bambini o apprezzare la musica di Beethoven e obbedire all’ordine di organizzare nella maniera più efficiente l’eliminazione di vittime innocenti. Una coscienza di questo tipo, in cui emozioni e ragione non hanno più rapporto con la realtà dell’altro, con la sua esistenza e la sua sofferenza, completamente sostituita dalle regole burocratiche e persino da clichés linguistici, non è più in grado di chiedersi se ciò che si è fatto è giusto o sbagliato.
Mi biasimate per il mio orientamento morale? Perché siete convinti che la morale sia qualcosa di desueto e oltrepassato? Io credo di no. E sapete perché? Perché credo che gli esseri umani, tutti gli esseri umani – uomini e donne – siano titolari della capacità di pensare. Il pensiero è un vero e proprio strumento per la circolazione del senso in ogni ambito della nostra esistenza. Esercitare l’attività del pensiero vuol dire mettere ordine nella vita emotiva, così come cercare di sottrarre l’agire alla sua imprevedibilità. In questo modo, diventa possibile instaurare un legame tra i diversi ambiti dell’esperienza e prepararsi a stare sulla scena del mondo, manifestando chi si è veramente.
Anna Perna: formatrice ad approccio umanistico e Gestalt counselor. Lavora nel campo dell’apprendimento continuo occupandosi del tema della consapevolezza di sé e delle competenze relazionali. Nel tempo libero è autrice e regista teatrale.