Questa settimana vogliamo raccontarvi quanto sta accadendo dall’altra parte dell’oceano per quanto riguarda la parità di genere, un traguardo che gli Stati Uniti non sono ancora riusciti a raggiungere: sarà questa la volta buona?
Tutto ruota attorno attorno all’ Equal Rights Amendment, un emendamento del 1923 che avrebbe dovuto vietare “la discriminazione sulla base del sesso, dell’identità di genere e dell’orientamento sessuale”. Da allora ad oggi, questo dispositivo giuridico non è ancora riuscito a diventare operativo: per quanto fosse stato approvato nel 1972 dal Congresso, la sua applicabilità è sempre dipesa dall’approvazione di almeno 38 stati su 50, un traguardo che non si è mai riusciti a raggiungere, anche e soprattutto a causa della feroce campagna condotta dalla scrittrice e politica Phyllis Stewart Schlafly all’inizio degli anni settanta del secolo scorso.
Una donna apertamente schierata contro i diritti delle donne e capace di inchiodare il percorso di questo emendamento, bloccando la sua approvazione a soli 35 stati, impedendo l’applicazione di una norma che la Schlafly vedeva come una minaccia al diritto delle donne di essere mantenute dai mariti o escluse dal dover prestare il servizio militare. Posizioni, quelle della Schlafly e delle sue agguerritissime sostenitrici che la presidenza Biden avrebbe voluto cancellare entro i primi cento giorni del mandato, ma che ancora resistono, soprattuto in senato.
Ed è proprio in senato che si sta combattendo questa battaglia e sarà compito soprattutto delle rappresentanti repubblicane quello di far compiere alla nazione il passo in avanti che ancora, a quasi un secolo di distanza, non si è decisa a fare. “Vorrei potervi dire che abbiamo più sostegno repubblicano”, ha detto infatti la senatrice repubblicana dell’Alaska Lisa Murkowski, che sta lavorando per convincere i senatori del suo partito a votare a favore di questa legge. Vedremo se questa sarà la volta buona e ci auguriamo di sì, anche perché se l’approvazione dell’emendamento dovesse fallire di nuovo, non sarebbe solo una grave sconfitta per Biden e per la prima vicepresidente donna, Kamala Harris, ma ovviamente lo sarebbe per le centinaia di milioni di donne (e di persone di genere non maschile), che si vedrebbero nuovamente negati i diritti fondamentali nel paese che ama definirsi la ”più grande democrazia del mondo”.