Esattamente 40 anni fa, nel 1981, entrava in vigore la Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne, adottata dalle Nazioni Unite due anni prima.
Ora è arrivato il momento del monitoraggio dell’applicazione della CEDAW nel nostro paese.
Un gruppo di 23 organizzazioni della società civile italiana coordinato dalle Donne in rete contro la violenza ha stilato un documento consistente in una lista di domande che il Comitato CEDAW dell’ONU dovrebbe porre al governo italiano, basandosi sulle criticità che persistono rispetto alla piena attuazione della Convenzione ratificata dal nostro paese nel 1985.
A questo documento hanno partecipato anche il collettivo GiULiA, insieme alle Cpo Fnsi e Usigrai.
La CEDAW, raccomanda agli stati che l’hanno ratificata, di intervenire per migliorare la condizione delle donne in ogni campo della vita politica, sociale, economica e culturale con l’obiettivo di promuovere l’uguaglianza di diritti e opportunità tra uomini e donne.
In Italia, “nonostante i progressi dal punto legislativo e sociale, le discriminazioni contro le donne restano un problema grave, in particolare sul fronte del lavoro” e contribuiscono “alla persistenza della violenza contro le donne”, si legge nel documento depositato.
Uno dei punti più critici, come sappiamo, è quello dell’occupazione, ma anche il tema della violenza di genere rappresenta ancora un’emergenza, considerando come già in passato lo stesso CEDAW avesse denunciato “l’alta prevalenza della violenza maschile contro le donne, il basso numero di denunce e condanne degli autori delle violenze, il limitato accesso alle misure di protezione e l’alto numero di misure alternative alla pena decise dai tribunali”.
C’è poi il tema della salute, che vede calare l’accesso delle donne a prevenzione e cure a causa “della riduzione dei fondi pubblici destinati alla sanità, dei diversi LEA, Livelli essenziali di assistenza, nelle regione, la riduzione dei servizi per la salute sessuale e riproduttiva compreso l’accesso all’interruzione volontaria della gravidanza, e l’imposizione di interventi chirurgici senza consenso ai minori intersex”.
A farne maggiormente le spese sono le donne migranti, richiedenti asilo e rifugiate, comprese le donne vittime di tratta, colpite da discriminazioni multiple e da un persistente sfruttamento lavorativo.
“Si apre una fase molto importante, che ci vedrà impegnate nei prossimi mesi con un ampio gruppo di esperte – ha dichiarato Antonella Veltri, presidente di D.i.Re. capofila dell’iniziativa – per far fare un passo avanti ai diritti e alle libertà delle donne in Italia, imprescindibile non solo per prevenire davvero la violenza contro le donne, ma anche per affrontare il grande peggioramento delle condizioni di vita che la pandemia Covid19 ha provocato soprattutto per le donne, mentre assicuravano tutto il lavoro di cura e non solo, che ha tenuto insieme il paese”.