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Le “case chiuse” si chiamavano così perché le finestre non si aprivano mai, per rispetto alla pubblica decenza. Ma cosa accade alle donne dietro quelle finestre chiuse? (di Paola Vigarani)

 

 

Nel’58 il Parlamento italiano approvò la Legge n.75, più nota con il nome della sua creatrice, la senatrice socialista Lina Merlin. La legge abolisce la regolamentazione della prostituzione in Italia e di conseguenza, porta alla chiusura delle “case chiuse”.
L’intento di Lina Merlin era quello di contrastare lo sfruttamento delle prostitute e per farlo aveva deciso, contro ogni ipocrisia, di aprire le finestre e le porte delle case chiuse per capire cosa accadeva realmente alle donne che si prostituivano.

 

 

Lina era stata una militante socialista. Venne catturata dai nazisti, ma riuscì a scappare. Nel 1946 come senatrice fu una delle 21 donne a far parte della Costituente, il gruppo scelto dei 75 per scrivere il testo fondante della Repubblica. Una fondamentale specifica dell’articolo 3 porta il suo imprinting: «Tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge (…) senza distinzioni di sesso». Quando Lina chiede questa aggiunta, tentano di liquidarla come banalità: è sottinteso! Lei dice «no: niente sottintesi, la parità di genere la esplicitiamo». Molti anni dopo quando Enzo Biagi le domanderà in una celebre intervista: «Che cos’è per lei importante», Lina, ormai anziana risponderà: «la giustizia sociale».

 

 

L’iter della legge Merlin è stato molto lungo. Ci sono voluti dieci anni per spuntarla e per farla votare 60 anni fa, dopo infiniti dibattiti e polemiche, provocando anche una spaccatura trasversale nell’opinione pubblica italiana. Dal 1958 ad oggi, il tema della prostituzione ha continuato a rimanere al centro del dibattito politico e innumerevoli sono state le proposte, anche recenti, di variazione e di revisione.
Nel 1958 Carla Voltolina, moglie del futuro Presidente Pertini, e la stessa Lina Merlin scrissero “Lettere dalle case chiuse”, una raccolta di lettere che le erano state inviate durante gli anni della sua battaglia per far approvare la legge. A Lina erano infatti giunte infatti centinaia di lettere dalle ragazze delle case chiuse e il ritratto dei bordelli che ne emergeva era pauroso, ben lontano dal paradiso descritto dai loro sostenitori. Le prostitute  erano costrette a perdere ogni dignità, prigioniere dentro le case, sfruttate, malate, considerate esseri umani di serie B, ricattate dalle tenutarie, dai medici incaricati di certificare il loro stato di salute per conto dello Stato o di liberarle da gravidanze indesiderate, dai funzionari, dai clienti. «Ci aiuti, signora deputatessa», la imploravano le ragazze. E anche: «Lei è una santa». Lina non era affatto una stupida bigotta. Semplicemente non tollerava l’idea che la repubblica per la quale lei e quelli come lei avevano lottato, per la quale aveva visto morire tanti amici, fratelli, compagni di lotta, si rendesse complice di questa tratta delle schiave. Le donne che praticavano il mestiere più antico del mondo erano per lei come tutte le altre, meritevoli della stessa eguaglianza. Le schedavano come criminali, perfino ai loro figli restava un marchio addosso. «Se schedi le donne, schediamo anche gli uomini», sosteneva Lina. Con la legge Merlin vennero chiuse circa seicento case e si introdusse il reato di sfruttamento della prostituzione.

 

 

La senatrice Lina Merlin spalancò le case chiuse e cosa ancora più importante si mise in ascolto delle donne che si prostituivano. Il suo è stato un lavoro pioneristico che ci consegna il dovere sociale di chiederci se quest mestiere, sia realmente un lavoro o un abuso a pagamento normalizzato?
In Italia siamo in attesa che la Consulta si pronunci sulla costituzionalità della legge Merlin, fortemente difesa da molte associazioni femministe. Mentre in Francia, dopo 6 anni di dibattit,i è stata samcita la criminalizzazione dell’acquisto del sesso, sono stati creati programmi di uscita e politiche di protezione e sostegno per le vittime di prostituzione e sfruttamento sessuale. In Svezia la prostituzione è riconosciuta come forma di abuso sessuale, i clienti vengono criminalizzati. Le leggi funzionano perché è avvenuto un cambiamento culturale. La prostituzione non è tollerata socialmente, soprattutto nelle nuove generazioni che tendono a considerare l’acquisto di sesso come un comportamento perdente.

 

 

Julie Bindel, giornalista, femminista nel suo libro “Il mito di Pretty Woman” effettua una indagine mondiale sulla prostituzione, che sfata per la prima volta il falso mito del sex work. In questo libro, così come in quello di Lina Merlin le donne che hanno vissuto l’esperienza della prostituzione prendono la parola contro la favola di Pretty Woman, la “puttana felice”, dando vita a un movimento globale che sta portando avanti una battaglia a favore del modello nordico, l’unico modello legislativo che protegge i diritti umani delle persone prostituite.
Nel corso di due anni Julie Bindel ha raccolto 250 interviste viaggiando instancabilmente fra Europa, Asia, Nord America, Australia, Nuova Zelanda, Africa. Ha visitato bordelli legali, conosciuto papponi, pornografi e donne sopravvissute alla prostituzione. Ha incontrato femministe abolizioniste, attivisti pro-sex work, poliziotti, uomini di governo, uomini che “vanno a puttane”. Le interviste mostrano uno scenario non diverso dalla situazione rappresentata 60 anni fa dalla senatrice Merlin. Storie di violenza e abusi: «Sono stata trattata peggio di un animale» racconta Lisa. Aveva 50 anni ed era seduta vicino al suo deambulatore. Era diventata disabile in seguito a una vita nella prostituzione. Le ho chiesto se la sua vita fosse migliorata dopo la decriminalizzazione avvenuta negli ultimi anni in America e lei mi ha risposto di no, perché, nella sua esperienza gli uomini che la pagano si sentono in diritto di farle tutto quello che vogliono”. Questo libro evidenzia l’esistenza di una potente e ben finanziata lobby pro-prostituzione che comprende proprietari di bordello, agenzie di escort e ricchi compratori di sesso; si tratta di un’attività criminale fra le più redditizie a livello globale.
Il tutto passa attraverso gli sguardi ciechi della normalizzazione dello sfruttamento che occulta la violenza subita dalle donne e riduce la prostituzione a un “lavoro come un altro”, allo scopo di depenalizzare l’industria del sesso, trasformando gli sfruttatori in imprenditori e proteggendo il “diritto” dei compratori ad abusare dei corpi delle donne.

 

 

Per comprendere ancora di più i vissuti e la condizione delle prostitute, Rachel Morgan nel suo libro di recente pubblicazione “Stupro a pagamento”, trova la forza di raccontare il costo emotivo della vendita del proprio corpo. Questo libro autobiografico mette in luce, ripercorrendo l’esperienza dolorosa dell’autrice, la discriminazione sessuale-socio-culturale ed economica dello sfruttamento disumano dell’industria del sesso. Rachel Morgan sostiene che la povertà sia co-responsabile della capitolazione delle donne alla prostituzione e aggiunge che “gli uomini compiono sempre violenza sessuale nella prostituzione e la maggior parte ne è consapevole. L’utilizzo di denaro per comperare l’ingresso nel corpo di qualcun altro è un atto di violenza sessuale in sé per sé. Vi sono uomini disposti a saziare il loro egoismo sessuale disumanizzandole donne come prodotti da comprare per i loro appetiti. In Germania ho visto cartelloni sulle strade che reclamizzavano- Una donna, una birra e una salsiccia al sangue-“.

 

 

Aprire metaforicamente le finestre delle case chiuse, mettersi in ascolto empatico dei vissuti delle donne rende impossibile difendere l’idea di legalizzare la prostituzione.