Come prima maestra spirituale di Venere50 abbiamo deciso di parlare di Etty Hillesum,la scrittrice olandese di origini ebraiche, morta nel campo di sterminio di Auschwitz il 30 novembre del 1943.
Le ragioni principali di questa scelta sono due: perché quella di Etty Hillesum è stata un’importante voce antirazzista e perché ebbe modo di studiare e interessarsi alla psicologia analitica junghiana, grazie al lavoro di Julius Spier, psicologo e chirologo, di cui Etty fu all’inizio paziente e poi segretaria e intima amica.
Quando la seconda guerra mondiale infuria ormai da due anni, Etty è una giovane donna olandese, intensa e passionale, legge Rilke, Dostoevskij, Jung. I temi religiosi la attirano e talvolta ne parla. Giorno dopo giorno la realtà della persecuzione antiebraica si abbatte sulla sua vita e diventa il tema dominante del Diario, scritto ad Amsterdam tra il 1941 e il 1942, fino a pochi giorni dalla sua cattura e deportazione. Sulle sue pagine Etty registra il rapido passaggio dalla discriminazione alla persecuzione, riportando le voci sugli amici scomparsi nei campi di concentramento, uccisi o imprigionati. Etty annota: “La nostra distruzione si avvicina furtivamente da ogni parte, presto il cerchio sarà chiuso intorno a noi e nessuna persona buona che vorrà darci aiuto lo potrà oltrepassare”. Ma, quanto più il cerchio si stringe, tanto più Etty sembra acquistare una straordinaria forza e risolutezza. Anche se gliene si presenta l’occasione, non pensa un solo momento a mettersi al sicuro e sfuggire al rastrellamento. Pensa invece a come potrebbe essere d’aiuto ai tanti che stanno per affrontare con lei il “destino di massa” dello sterminio programmato e amministrato dalle autorità tedesche. Confinata insieme ai genitori e ai fratelli a Westerbork, il campo di transito prima della destinazione finale di Auschwitz, Etty si prodiga per portare assistenza a coloro che condividono con lei lo stesso destino di morte. Riesce persino ad esaltare, in quel “pezzetto di brughiera recintato dal filo spinato”, la sua capacità di essere e rimanere un “cuore pensante”.
Se la tecnica nazista consisteva innanzitutto nel provocare l’avvilimento fisico e psichico delle vittime, si può dire che su Etty sembra provocare l’effetto contrario. A mano a mano che si avvicina la fine, la sua voce diventa sempre più limpida e sicura, senza incrinature. Anche nel pieno dell’orrore, riesce a respingere ogni atomo di odio, perché questo avrebbe solo il potere di rendere il mondo ancor più “inospitale”. La disposizione che ha Etty ad amare è invincibile. Sul Diario annota: ” “Temprato”: distinguerlo da “indurito” “. E proprio la sua vita sta a mostrare quella differenza. L’orrore della persecuzione non pietrifica il suo spirito, ma lo forgia come la lama di una spada, stretta tra l’incudine e il martello che la percuote.
La sua testimonianza (quando il suo Diario viene finalmente pubblicato, a quasi quarant’anni dalla morte) è diventata l‘emblema del cammino di una donna che, oltrepassando tutti i fili spinati, interiori ed esteriori, ha voluto “pensare con il cuore”, alla ricerca di una sorgente molto profonda, il divino che è in noi, da riscoprire e liberare. Partendo da un proprio percorso di autoanalisi e di indagine spirituale, Etty Hillesum ha scelto di confrontarsi con il proprio dolore e quello altrui, facendosi testimone delle miserie e delle ricchezze dell’esperienza del campo di concentramento.
La sua vita e ancor di più la sua morte raccontano l’incredibile scelta di resistenza esistenziale di fronte agli orrori del suo tempo, oltre l’odio, alla ricerca di un senso “altro” di sé e della relazione con gli altri.
A darcene ulteriore testimonianza è il documentario Etty Hillesum: la vita , costruito con immagini storiche di repertorio provenienti dalle Teche Rai e arricchito con alcune sequenze tratte dallo spettacolo Etty Hillesum, la ragazza che non sapeva inginocchiarsi, diretto da Pia Di Bitonto e scritto da Gabriella Schina, come libero adattamento del Diario e delle Lettere di Etty Hillesum.