Lo stereotipo è la componente cognitiva alla base del pregiudizio, ossia quell’opinione positiva o negativa su gruppi o soggetti, non documentata, che formuliamo precedentemente, senza avere nessuna prova o supporto.
Tra gli obiettivi principali del lavoro di Venere 50 c’è proprio quello di andare ad esplicitare gli stereotipi che spesso inconsapevolmente determinano le idee e le rappresentazioni che abbiamo del mondo.
Gli stereotipi di genere sono l’insieme rigido di credenze condivise e trasmesse socialmente, su quelli che sono e devono essere i comportamenti, il ruolo, le occupazioni, i tratti, l’apparenza fisica di una persona, in relazione alla sua appartenenza di genere.
Come redazione del collettivo Venere 50 inauguriamo un ciclo di confronti sul tema degli stereotipi di genere con donne di diverse età, intervistando le tante donne che compongono l’équipe del Centro Armonico Terapeutico.
Questa settimana ne abbiamo parlato con
Paola Vigarani. Fondatrice e parte attiva del Collettivo Venere 50. Counselor Clinica Professionale avanzata con integrazione alla mediazione familiare. Vittimologa. Formatrice. Fondatrice e conduttrice del gruppo A.M.A. Le Fenici.
Hai vissuto stereotipi di genere nella tua famiglia d’origine? Se sì, quali?
Si, me ne sono resa conto in età adulta quando sono diventata moglie. Lo stereotipo è stato agito dai miei genitori, materializzandosi nelle aspettative esplicitate da mia madre e silenziosamente avvallate da mio padre. Per i miei genitori era implicito e scontato che tra me e mio marito, fossi io quella a doversi fare carico completamente della cura e pulizia della casa e dell’accudimento di mio figlio. Questo stereotipo replicava, educativamente parlando, il modello vissuto tra mia madre, casalinga e mio padre sempre fuori di casa per lavorare. Paradossale per me il ritrovarmi “ingabbiata” in questo pregiudizio perché le rare discussioni che coinvolgevano i miei genitori vertevano spesso sul fatto che mia madre non fosse stata in grado di realizzare i suoi progetti professionali, i suoi desideri mentre mio padre si. Ho vissuto questo condizionamento educativo e culturale con grande ribellione, rabbia ma anche senso di colpa ed impotenza. Quando mi “prendevo tempo per me”, per i miei interessi o le mie passioni mi veniva fatto notare con tono di rimprovero che toglievo tempo al mio “ruolo” di moglie, che mio marito si “meritava” di essere alleggerito e non appesantito dalle mie richieste di aiuto perché lui lavorava più di me, rimandandomi un senso di inadeguatezza nei suoi confronti.
Se hai vissuto stereotipi di genere, questi sono stati manifestati maggiormente dalle figure di riferimento maschili o femminili?
Sono stati maggiormente manifestati da mia madre ma assecondati anche da mio padre. Le esperienze educative di entrambi erano accumunate da madri tuttofare per la famiglia e padri concentrati a lavorare o a fare altro.
Quali stereotipi di genere pensi siano più difficili da superare?
Penso che lo stereotipo più difficile da scardinare riguardi la concezione culturale e la relativa normalizzazione del fatto che la donna non possa possedere le stesse autonomie, indipendenze, libertà, possibilità ed opportunità dell’uomo. Penso che questo stereotipo sia così culturalmente consolidato ed incistato in tutti noi che spesso non ci si accorge nemmeno più della disparità uomo/donna che spesso diviene discriminazione vera e propria.
Come vedi il futuro rispetto alla parità di genere?
Vedo una strada da percorre ancora molto lunga ed in salita. Sembra però si stia attivando soprattutto nei giovani uomini una consapevolezza maggiore in termini di parità di genere pertanto a tratti mi ritrovo fiduciosa che almeno il dialogo tra i generi possa ridurre il divario tra le disparità.