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Lo stereotipo è la componente cognitiva alla base del pregiudizio, ossia quell’opinione positiva o negativa su gruppi o soggetti, non documentata, che formuliamo precedentemente, senza avere nessuna prova o supporto.

Tra gli obiettivi principali del lavoro di Venere 50 c’è proprio quello di andare ad esplicitare gli stereotipi che spesso inconsapevolmente determinano le idee e le rappresentazioni che abbiamo del mondo.

Gli stereotipi di genere sono l’insieme rigido di credenze condivise e trasmesse socialmente, su quelli che sono e devono essere i comportamenti, il ruolo, le occupazioni, i tratti, l’apparenza fisica di una persona, in relazione alla sua appartenenza di genere.

Come redazione del collettivo Venere 50 inauguriamo un ciclo di confronti sul tema degli stereotipi di genere con donne di diverse età, intervistando le tante donne che compongono l’équipe del Centro Armonico Terapeutico.

Questa settimana ne abbiamo parlato con

Manuela Toni, sposata con due figli (Rebecca, 21 anni e Tommaso, 18 anni). Professione Avvocato. Mi definisco, per le materie di cui mi occupo, un avvocato “sociale”. Sono anche Counsellor Professionista e Mediatore Familiare; membro della sezione modenese dell’Osservatorio sul Diritto di Famiglia e parte integrante del CAT (Centro Armonico Terapeutico di Campogalliano)

Hai vissuto stereotipi di genere nella tua famiglia d’origine? Se sì, quali?

Nella mia famiglia di origine non ho vissuto né sperimentato direttamente stereotipi di genere. Mi ritengo fortunata. I miei genitori erano persone semplici con stipendi umili ,ma di grande dignità. Hanno fatto enormi sacrifici per permettere a me e mia sorella la prosecuzione degli studi dopo il diploma.

Se hai vissuto stereotipi di genere, questi sono stati manifestati maggiormente dalle figure di riferimento maschili o femminili?

Come ho già detto, non ho l’ho sperimentato in famiglia o tra figure di riferimento, ma l’ho sperimentato e lo sperimento ogni giorno nella professione. Gli avvocati maschi, soprattutto più anziani di me (anche solo di qualche anno),  tentano sempre di esercitare con protervia una loro ipotetica ed illusoria superiorità, soprattutto a fronte di un comportamento garbato; purtroppo la gentilezza e la buona creanza vengono ancora scambiate per debolezza. Ovviamente e per fortuna ho acquisito gli strumenti per impormi e dimostrare loro tutta la pochezza che li ammanta.

Quali stereotipi di genere pensi siano più difficili da superare?

Lo stereotipo più difficile da superare penso sia quello principale,  “l’uomo è superiore alla donna”,  perché da questo discendono tutti gli altri e le ricerche dimostrano che buona parte della popolazione è ancora nella gabbia dello stereotipo. Gli stereotipi si sa, producono i pregiudizi ed i pregiudizi legittimano la violenza. L’aspetto più grave è che poi la violenza genera altra violenza: è una legge universale che non possiamo nasconderci. La mia deformazione professionale mi porta sempre ed automaticamente alla “violenza assistita”, spesso sottovalutata in quanto non violenza diretta, ma con effetti capillari devastanti e soprattutto con manifestazioni nel lungo periodo.

Come vedi il futuro rispetto alla parità di genere?

Lo vedo come futuro molto lontano e non certo come futuro anteriore. Occorre una battaglia di civiltà da parte di tutti gli operatori in ogni settore, a partire dagli operatori del diritto.
Occorre uno spostamento culturale, una rivoluzione culturale. E la storia e l’esperienza ci insegnano che la rivoluzione passa attraverso la lingua e la parola. La parola è lo strumento attraverso il quale noi creiamo la realtà. Io non smetterò mai di battere con forza su questo punto, perché le parole agiscono e lavorano dentro di noi e servono a formare i pensieri ai quali  poi seguono le azioni.
Fermiamoci a riflettere sul significato delle parole che usiamo ogni giorno; pensiamo a quanto possa essere devastante ad esempio un linguaggio sessista, apparentemente innocuo. Anche l’uso della parola ha contribuito a depositare quella forma di svalutazione che è il sessismo. Il linguaggio è insidioso perché immateriale e per questo più pericoloso. Già nella famiglia, che è la cellula di base nella quale si formano le persone, sarebbe opportuno e fondamentale operare un’analisi critica del linguaggio usato per trasmettere il grande valore del peso e della portata delle parole