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Lo stereotipo è la componente cognitiva alla base del pregiudizio, ossia quell’opinione positiva o negativa su gruppi o soggetti, non documentata, che formuliamo precedentemente, senza avere nessuna prova o supporto.

Tra gli obiettivi principali del lavoro di Venere 50 c’è proprio quello di andare ad esplicitare gli stereotipi che spesso inconsapevolmente determinano le idee e le rappresentazioni che abbiamo del mondo.

Gli stereotipi di genere sono l’insieme rigido di credenze condivise e trasmesse socialmente, su quelli che sono e devono essere i comportamenti, il ruolo, le occupazioni, i tratti, l’apparenza fisica di una persona, in relazione alla sua appartenenza di genere.

Come redazione del collettivo Venere 50 inauguriamo un ciclo di confronti sul tema degli stereotipi di genere con donne di diverse età, intervistando le tante donne che compongono l’équipe del Centro Armonico Terapeutico.

Questa settimana ne abbiamo parlato con

Daniela Grenzi: si laurea prima in Discipline delle Arti, Musica e Spettacolo presso l’Università di Bologna e poi consegue la laurea Specialistica in Psicologia presso l’Università di Padova. Continua gli studi in ambito psicologico specializzandosi in Psicoterapia Analitica ad indirizzo junghiano.

Hai vissuto stereotipi di genere nella tua famiglia d’origine? Se sì, quali?

Nella mia famiglia d’origine non ho vissuto stereotipi di genere nel senso classico. Mi spiego, i miei genitori appartengono a una generazione per così dire antica, mio padre classe 1925, mia madre nata nel 1930. In casa non ho respirato l’idea di madre casalinga e corrispettivo padre lavoratore. I miei lavoravano entrambi ad un’impresa familiare e si dividevano le incombenze  più o meno come potevano.
Lo stereotipo di cui ho sentito parlare, ha invece a che fare con la sorellanza.
Mia madre mi raccontava sempre di un vissuto competitivo al femminile. Le donne non potevano essere amiche tra di loro. Mi raccontava che dopo la guerra gli uomini erano pochi e le ragazze si davano un gran da fare per accaparrarsene uno, perché rimanere zitella era un terribile guaio. Mi ricordo che mi sembrava una cosa terribile che non ci fosse alternativa al matrimonio, poi mi dissero che l’alternativa era diventare suora e ci pensai seriamente.

Se hai vissuto stereotipi di genere, questi sono stati manifestati maggiormente dalle figure di riferimento maschili o femminili?

Lo stereotipo di genere di cui parlavo prima mi è stato trasmesso per linea materna . Allo stesso tempo però, sempre mia mamma, mi ha fatto trovare alla nascita due splendide sorelle e quindi mi ha dato anche la chiave per superare lo stereotipo stesso.

Quali stereotipi di genere pensi siano più difficili da superare?

Uno degli stereotipi che penso sia più difficili da superare è quello che riguarda la ‘naturalezza della maternità’. Anche se si sono fatti molti passi in avanti penso che nel profondo non sia cambiato molto. È molto difficile poter contemplare che una donna possa naturalmente non sentire il bisogno di una maternità biologica. Razionalmente oggi lo si può quasi accettare, ma emotivamente è ancora un profondo tabù.

Come vedi il futuro rispetto alla parità di genere?

Mi mantengo fiduciosa, penso sia un momento storico vivace da questo punto di vista, si cerca di parlarne, di riflettere e questo lo trovo positivo. E poi spero si allarghi sempre più la sensibilità verso tutte le forme di discriminazione, oltre a quella di genere.